Rapporto Svimez: nel sud 600.000 famiglie senza lavoro. Patriciello (FI): serve piano Marshall.

La popolazione diminuisce malgrado aumentino gli stranieri: nel 2017 il calo è stato di 203 mila unità a fronte di un aumento di 97 mila stranieri residenti. Il peso demografico del Sud diminuisce ed è ora pari al 34,2%, anche per una minore incidenza degli stranieri (nel 2017 nel Centro-Nord risiedevano 4.272 mila stranieri rispetto agli 872 mila stranieri nel Mezzogiorno). Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. Quasi 800 mila non sono tornati. E’ quanto emerge dalle anticipazioni del Rapporto Svimez 2018, presentate oggi a Roma.

Un calo dovuto, secondo Svimez, al fatto che ancora oggi al cittadino del Sud, nonostante una pressione fiscale pari se non superiore per effetto delle addizionali locali, mancano (o sono carenti) diritti fondamentali: in termini di vivibilità dell’ambiente locale, di sicurezza, di adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura per la persona adulta e per l’infanzia. In particolare, nel comparto socio-assistenziale il ritardo delle regioni meridionali riguarda sia i servizi per l’infanzia che quelli per gli anziani e per i non autosufficienti.

Più in generale, l’intero comparto sanitario presenta differenziali in termini di prestazioni che sono al di sotto dello standard minimo nazionale come dimostra la griglia dei Livelli Essenziali di Assistenza nelle regioni sottoposte a Piano di rientro: Molise, Puglia, Sicilia, Calabria e Campania, sia pur con un recupero negli ultimi anni, risultano ancora inadempienti su alcuni obiettivi fissati.

I dati sulla mobilità ospedaliera interregionale testimoniano le carenze del sistema sanitario meridionale, soprattutto in alcuni specifici campi di specializzazione, e la lunghezza dei tempi di attesa per i ricoveri. Le regioni che mostrano i maggiori flussi di emigrazione sono Calabria, Campania e Sicilia, mentre attraggono malati soprattutto la Lombardia e l’Emilia Romagna. I lunghi tempi di attesa per le prestazioni specialistiche e ambulatoriali sono anche alla base della crescita della spesa sostenuta dalle famiglie con il conseguente impatto sui redditi.

Strettamente collegato è il fenomeno della “povertà sanitaria”, secondo il quale sempre più frequentemente l’insorgere di patologie gravi costituisce una delle cause più importanti di impoverimento delle famiglie italiane, soprattutto nel Sud: nelle regioni meridionali sono il 3,8% in Campania, il 2,8% in Calabria, il 2,7% in Sicilia; all’estremo opposto troviamo la Lombardia con lo 0,2% e lo 0,3% della Toscana. I divari si confermano anche per quel che riguarda l’efficienza degli uffici pubblici in termini di tempi di attesa all’anagrafe, alle ASL e agli uffici postali.

Nel Mezzogiorno si delinea una netta cesura tra dinamica economica che, seppur in rallentamento, ha ripreso a muoversi dopo la crisi, e una dinamica sociale che tende ad escludere una quota crescente di cittadini dal mercato del lavoro, ampliando le sacche di povertà e di disagio a nuove fasce della popolazione. Il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, da 362 mila a 600 mila (nel Centro-Nord sono 470 mila). Il numero di famiglie senza alcun occupato è cresciuto anche nel 2016 e nel 2017, in media del 2% all’anno, nonostante la crescita dell’occupazione complessiva, a conferma del consolidarsi di aree di esclusione all’interno del Mezzogiorno, concentrate prevalentemente nelle grandi periferie urbane.

Si tratta di sacche di crescente emarginazione e degrado sociale, che scontano anche la debolezza dei servizi pubblici nelle aree periferiche. Preoccupante la crescita del fenomeno dei working poors: la crescita del lavoro a bassa retribuzione, dovuto a complessiva dequalificazione delle occupazioni e all’esplosione del part time involontario, è una delle cause, in particolare nel Mezzogiorno, per cui la crescita occupazionale nella ripresa non è stata in grado di incidere su un quadro di emergenza sociale sempre più allarmante.

Un territorio che perde i suoi giovani è un territorio che perde il futuro. E il Mezzogiorno ha bisogno di tutto, tranne che di perdere ulteriore terreno. Il drammatico calo demografico che nell’ultimo decennio ha colpito il Sud Italia, oltre a riflettere il profondo disagio che impoverisce il nostro tessuto sociale, testimonia che la questione meridionale è tutt’altro che risolta. Inutile nascondersi dietro un dito”. Commenta così Aldo Patriciello, europarlamentare e membro del Gruppo Ppe al Parlamento europeo, le anticipazioni del rapporto Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno 2018 presentate a Roma alla presenza del Ministro per il Sud Barbara Lezzi.

“Quasi due milioni di cittadini emigrati costituiscono un dato più che allarmante” – afferma Patriciello. “Fino a quando si continuerà a non affrontare seriamente il nodo della enorme sperequazione presente nella nostra penisola – spiega l’eurodeputato molisano – sarà difficile ritornare ai livelli di ricchezza pre-crisi e arrestare, di conseguenza, l’emigrazione dei nostri giovani. E non lo dico soltanto io, ma tutti i principali centri di ricerca e statistica nazionali ed europei: senza uno strutturale processo di crescita del Mezzogiorno è impensabile generare livelli di sostenibilità economica adeguati per l’intero Paese. A meno che non si voglia istituzionalizzare una volta e per sempre il divario tra nord e sud ed applicare un principio di darwinismo territoriale in base al quale solo le Regioni ricche saranno in grado di sopravvivere e reggere la sfida competitiva, mentre quelle a basso reddito resteranno perennemente indietro. Occorre dunque – afferma Patriciello –  recuperare quella centralità politica smarrita negli ultimi anni e realizzare una base su cui costruire un discorso a lungo termine: serve un vero e proprio Piano Marshall per il Sud che sia il frutto di una strategia tra Unione Europea, Governo e istituzioni regionali. Abbiamo già ampiamente sperimentato l’inefficacia di interventi emergenziali o dettati da particolari circostanze del momento. C’è bisogno invece di invertire la rotta e di dare un segnale di forte discontinuità con il passato: un Mezzogiorno periferia economica del Paese non conviene a nessuno. I dati di questi ultimi giorni – conclude l’europarlamentare azzurro –  non fanno altro che certificare una realtà ben nota a tutti ma che stranamente, fino ad oggi, fa fatica ad entrare nelle priorità dell’agenda politica del nostro Paese”.