“Martina come tante altre: il femminicidio è l’ultimo atto della violenza di genere”. Parla l’avvocato penalista Michele Sirica

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Il nome di Martina Carbonaro, la quattordicenne uccisa pochi giorni fa ad Afragola, è diventato in poche ore simbolo di una tragedia che si ripete con drammatica frequenza. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, a colpirla sarebbe stato un ragazzo con cui la giovane aveva avuto un rapporto, finito nel peggiore dei modi.

avvocato penalista Michele Sirica tutela legale contro lo stalking e la violenza di genereL’ennesimo femminicidio, l’ennesima vita spezzata per mano di chi confonde l’amore con il possesso, il rispetto con la gelosia, la libertà con il controllo. E ancora una volta ci si interroga: si poteva evitare? Il nostro ordinamento tutela davvero le donne vittime di violenza e stalking? Cosa si può fare di più per prevenire tragedie come quella di Martina?
Ne parliamo con l’avvocato Michele Sirica, penalista, titolare dell’omonimo studio legale con sede a Sarno e attivo su tutto il territorio della Campania, da anni impegnato nella difesa delle vittime di reati contro la persona.

M.C: Avvocato Sirica, il femminicidio di Martina Carbonaro ha scosso tutti. Come leggere questo ennesimo dramma dal punto di vista legale e sociale?

«La morte di Martina è una ferita profonda, che lascia sgomenti non solo per la giovanissima età della vittima, ma per il contesto relazionale e sociale in cui è maturata. È l’ennesima dimostrazione che il femminicidio non è un evento improvviso, ma l’epilogo tragico di un’escalation di violenza. Quasi sempre, prima dell’omicidio c’è una storia di controllo, gelosia patologica, persecuzioni. Lo vediamo nei tribunali, nei racconti delle vittime: il femminicidio è l’ultimo anello di una catena. E questo ci impone di intervenire prima, molto prima».

M.C: Quando si può parlare di “stalking” e quali strumenti legali ha oggi una donna per difendersi?

«Il reato di atti persecutori, comunemente noto come stalking, è previsto dall’articolo 612-bis del Codice Penale. Si configura quando una persona attua comportamenti reiterati – pedinamenti, minacce, molestie, messaggi ossessivi – che causano nella vittima un grave stato di ansia, timore per l’incolumità propria o di persone vicine, oppure la costringe a cambiare abitudini di vita. Il nostro ordinamento, con il Codice Rosso del 2019 e le successive riforme, ha introdotto strumenti di intervento rapido: la denuncia porta all’attivazione immediata del pubblico ministero, che può chiedere al giudice l’adozione di misure cautelari come il divieto di avvicinamento, l’allontanamento dalla casa familiare o il braccialetto elettronico».

M.C: Eppure, molte vittime denunciano, ma non vengono ascoltate in tempo. Cosa non funziona?

«Il problema, purtroppo, non è solo normativo ma anche culturale e operativo. Da un lato, c’è ancora una sottovalutazione delle prime avvisaglie da parte delle stesse vittime o di chi le circonda. Dall’altro, le forze dell’ordine e le procure spesso si trovano a lavorare con risorse insufficienti. Le denunce per stalking sono tante e il rischio è che, senza segnali di violenza fisica immediata, alcuni casi vengano considerati “a basso rischio”. Ma in molti femminicidi le denunce c’erano già state: il punto è capire come valutare correttamente la pericolosità del soggetto».

M.C: Qual è il ruolo dell’avvocato penalista a fianco delle vittime?

«Fondamentale. Il nostro lavoro non si esaurisce nel momento in cui si sporge denuncia. Al contrario, è proprio in quella fase che occorre offrire protezione legale, supporto psicologico e strategia difensiva. Siamo noi a redigere memorie, a sollecitare le misure cautelari, a vigilare sulla tempestività delle indagini, ad affiancare le vittime nei procedimenti per il risarcimento del danno, fino all’eventuale costituzione di parte civile nel processo penale. Spesso accompagniamo donne che hanno paura anche solo di parlare: bisogna guadagnarsi la loro fiducia con empatia e competenza».

M.C: A livello normativo si discute dell’introduzione del reato autonomo di femminicidio. È una soluzione?

«È sicuramente un segnale importante, ma da solo non basta. L’introduzione di un reato autonomo può rafforzare il messaggio che uccidere una donna per motivi legati al genere è un crimine che offende l’intera società. Tuttavia, serve un sistema integrato: formazione per forze dell’ordine, protocolli interforze, sportelli territoriali, prevenzione nelle scuole. Il diritto penale arriva tardi: il vero obiettivo è evitare che si arrivi a quel punto. E per farlo serve anche una riforma culturale».

M.C: Cosa può fare una persona che si sente perseguitata o teme per la propria incolumità?

«Deve denunciare subito, senza aspettare. Può rivolgersi ai Carabinieri, alla Polizia o direttamente a un avvocato. Il nostro studio, ad esempio, è attivo anche nei weekend per i casi di urgenza. Dopo la denuncia, si può chiedere un ordine di protezione, l’allontanamento dell’aggressore, e nei casi più gravi si attiva la rete dei centri antiviolenza. Importante è anche conservare ogni prova: messaggi, audio, testimonianze, referti medici. Ogni elemento può fare la differenza in un procedimento penale».

M.C: Un messaggio finale per chi legge e, magari, vive una situazione simile a quella che ha vissuto Martina.

«Non siete sole. Nessuna forma di violenza è “normale”. Nessun controllo è amore. Se avete paura, se vi sentite osservate, limitate, minacciate, chiedete aiuto. Prima che sia troppo tardi. E a chi assiste da fuori: ascoltate, non giudicate, intervenite. Martina non può più parlare. Ma possiamo farlo noi, e soprattutto possiamo agire».

Per consulenze o per segnalare casi di violenza o stalking, lo Studio Legale dell’Avvocato Michele Sirica offre assistenza penale e tutela personalizzata.
Info su www.studiolegalesirica.com


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