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Paolo Gisonna, classe 1970, napoletano di nascita, vanta un percorso eclettico che spazia dall’autorialità e regia radiofonica in Rai (Radio2 con Ottovolante, Zazarazà), alla collaborazione per i testi televisivi (Domenica in), fino alla direzione artistica di premi cinematografici (Agave di Cristallo, Junior Film Festival). Autore di tre romanzi – Il dio con gli occhiali rotti (2000), L’uomo senza ricordi (2012) e L’amore ha i baffi blu (2018) – Gisonna si è recentemente distinto vincendo la sesta edizione del concorso “Una storia per il cinema” con la sceneggiatura di Nero Nero. Abbiamo incontrato l’autore per farci raccontare la genesi di questa storia sorprendente, che utilizza un virus muta-colore per scandagliare i temi della discriminazione e del pregiudizio.
Come sei arrivato a concepire l’idea di utilizzare un virus che cambia il colore della pelle come metafora per affrontare le tematiche di discriminazione e pregiudizio in “Nero Nero”?
L’idea mi è venuta grazie ad un episodio che osservai in metro qualche tempo fa, quando notai un ragazzo che lasciava il suo posto a sedere ad una donna anziana appena salita sulla vettura. Tutto normale, verrebbe da pensare, un gesto gentile, educato, “sano”. Se non fosse che accanto a quel ragazzo, da circa una decina di minuti, viaggiava in piedi un’altra donna anziana, molto anziana, e nera. Perché quel ragazzo era balzato subito in piedi per una donna bianca ma era rimasto tranquillamente seduto per una donna nera? Da quella domanda ne scaturirono altre, poi altre, poi altre ancora, finché nella mia mente non si palesò come unica risposta possibile un accadimento straordinario, un “qualcosa” capace di annullare qualsiasi finta diversità per creare uno stato di uguaglianza reale.
Il tuo libro sembra suggerire che la società abbia bisogno di una sorta di “livellamento” per poter vivere in armonia. Credi che questo sia un messaggio realistico oppure è più un’utopia?
Sì, uguaglianza, è quello che dicevo prima. La parola “livellamento” tuttavia mi fa pensare alla poesia di Totò e credo sia una giusta associazione. In quei versi infatti si realizza il concetto che neanche la morte riesce a portare l’armonia tra gli esseri umani, un concetto che, a mio parere, oggi stiamo scoprendo tristemente vero. Scusa la divagazione ma ti porto un esempio concreto. Sono tempi segnati dagli echi di guerre sanguinose in Medio Oriente e nell’Europa dell’est che quotidianamente invadono la nostra attenzione. Eppure ci sono guerre altrettanto orrende che non vengono neanche raccontate, come i due conflitti africani attualmente in essere, in Sudan e in Congo. Perché? Le vittime delle guerre africane non sono uguali alle vittime mediorientali o europee? Allora vedi che Totò aveva ragione? Io ho azzardato il pensiero che una condizione di uguaglianza acquisita in vita potrebbe far scoprire o riscoprire un armonioso vivere comune ma, e qui ti rispondo, è sicuramente un’utopia.
Come hai lavorato per bilanciare l’ironia e la serietà nel trattare tematiche delicate come la discriminazione e il pregiudizio?
Ci ho lavorato poco, pochissimo, perché da sempre credo che l’ironia sia il modo migliore per affrontare seriamente la vita. Voglio solo aggiungere che negli ultimi anni, secondo me, la parola “Ironia” è stata saccheggiata, maltrattata, svenduta. Vedo in giro troppi spacciatori di volgarità che si nascondono dietro questa parola.
La scelta di non fornire spiegazioni scientifiche sul virus e sulla sua cura sembra essere una scelta stilistica precisa. Come hai deciso di dosare l’informazione e il mistero intorno al virus?
Quando cominciai a scrivere la sceneggiatura ne parlai con un’amica dermatologa, la quale mi diede delucidazioni su un pigmento che si chiama Eumelanina e su alcune patologie legate ad essa, come il Melasma che si presenta appunto con la comparsa di macchie scure. Ebbi subito la chiara sensazione che queste spiegazioni potessero allontanare l’attenzione dello spettatore dal significato che io intendevo attribuire al film e scelsi di non parlarne. Per rafforzare e proteggere la mia decisione poi, decisi di inserire un elemento surreale, rappresentato dal cane nero con il quale inizia e finisce il film.
Cosa pensi che il concorso “Una storia per il cinema” possa offrire agli autori emergenti come te, e come credi che possa influenzare la tua carriera di scrittore?
Ahi! Qui mi vedo costretto a parlarti di me in termini di esperienze passate e credimi ne avrei fatto volentieri a meno. La sintesi della sintesi sta in tre libri pubblicati e in otto anni Rai con i ruoli di autore e regista. Durante quegli anni, probabilmente, la parola emergente avrebbe generato un fastidioso fischio nelle mie orecchie, forse perché l’avrei trovata sminuente. Oggi no, oggi ti ringrazio perché nelle mie nuove consapevolezze adoro questa parola. Ti dirò di più, in un modo o in un altro, spero di sentirmi sempre un emergente, perché gli anni in cui mi sono illuso di non esserlo, sono stati sicuramente gli anni meno creativi della mia vita. Continuando a sintetizzare al massimo, il cinema che rappresenta la grande passione ed il sogno di una vita era ed è un terreno sconosciuto per me. Così quando ho realizzato la prima stesura della sceneggiatura di Nero Nero ho provato a capire come sottoporla all’attenzione di persone del settore. Un amico romano incontrato casualmente a Napoli mi parlò di “Una storia per il cinema” ed eccomi qui, vincitore della sesta edizione. Sai qual è la soddisfazione più grande? Che non ho cercato nessuno, che non ho dovuto aspettare telefonate, che non devo ringraziare nessuno. Delle persone hanno letto la mia storia e l’hanno trovata valida al punto di farla emergere tra centinaia di altre storie. Punto, tutto qui. Ed è una bellissima sensazione. Ecco cosa può offrire il concorso “Una storia per il cinema”. Per la seconda parte della tua domanda, scusami se banalmente mi affido ad una citazione ma davvero non riesco ad immaginare parole migliori di quelle utilizzate da Eleanor Roosvelt: “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”. E il mio sogno più bello, forse, è appena cominciato.
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