Start up: un mondo da cui dipende la ripresa economica dell’Italia.

L’importanza delle start up per il tessuto economico del nostro Paese è fuori discussione, ma è altrettanto vero che avviare una start up in Italia appare decisamente meno semplice rispetto all’estero, soprattutto per la presenza di una mole di finanziamenti molto più elevata rispetto allo Stivale, e per la presenza di un numero maggiore di venture capitalist fiduciosi e dunque convinti di investire nelle giovani imprese tecnologiche ed innovative.

Questo è abbastanza ovvio, dato che il contesto di un paese è sempre decisivo ai fini della crescita delle aziende che operano al suo interno. Eppure, l’Italia non deve demordere e anzi deve cominciare a investire pesantemente sulle start up, considerando che è da esse che dipende la ripresa economica del Paese.

 

Le start up in Italia si autofinanziano

Solo una start up su dieci è riuscita a svilupparsi sfruttando i finanziamenti ed i fondi pubblici: secondo l’analisi condotta dall’Aifi, dunque, la maggior parte delle start up italiane si è sostanzialmente autofinanziata, dunque ha raggiunto il successo contando esclusivamente sulle proprie forze, sulle proprie intuizioni e sul valore di un’idea che – quando conta – trova sempre la sua strada per realizzarsi. Certo è che la mancanza di venture capitalist in Italia interessati a finanziare una start up ha il suo peso, e di fatto non è un bene per la competitività del nostro tessuto economico nei confronti degli altri paesi europei: ma di contro va detto che alcune start up oggi dal valore milionario sono riuscite a emergere dalla massa e imporsi anche all’estero, facendo a meno di quei finanziamenti che, in paesi come la Francia e la Germania, sono più estesi.

 

Perché i venture capitalist non investono?

I venture capitalist non investono in Italia perché, molto probabilmente, sono scoraggiati dalle tante difficoltà che le start up incontrano nel nostro Paese. A partire dalle beghe burocratiche e dalle impegnative trafile relative a documentazioni e quant’altro. In alcuni casi per fortuna la tecnologia fornisce una scappatoia: ad esempio grazie a siti come Icribis, è possibile capire come richiedere una visura camerale su una azienda partner o competitor e poi richiederla senza doversi recare in nessun ufficio, ma effettuando tutti i passaggi online. Ma per molte altre difficoltà non c’è tecnologia che tenga: il reperimento dei finanziamenti su tutte, ma anche la difficoltà nel penetrare i mercati internazionali, che poi sono quelli che garantiscono maggiori introiti e potenzialità. Non ultima, la difficoltà nel fare innovazione: ovvero il principio cardine di una start up che possa definirsi tale.

 

Start up italiane ed europee a confronto

La necessità di investire sulle start up del nostro Paese emerge soprattutto dal nostro posizionamento all’interno delle classifiche europee ed internazionali. Qui, infatti, le prime posizioni sono appannaggio esclusivo di città come ad esempio Singapore, Helsinki, Berlino, San Francisco, Zurigo, Tel Aviv, Stoccolma e via discorrendo. E l’Italia? Bisogna arrivare alla posizione numero 48 per trovare la città tricolore con la maggiore densità di start up: Milano. Da ciò si evince quanta strada si debba ancora percorrere, e quanto sia importante l’intervento dello Stato e dei venture capitalist per macinare i chilometri che ci separano dagli altri.