Scuola, lettera aperta dei docenti del Liceo Leon Battista Alberti.

pubblichiamo la Lettera Aperta dei docenti del Liceo Scientifico Leon Battista Alberti di Napoli

LETTERA APERTA

 

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIUSEPPE CONTE

AL MINISTRO PER L’ISTRUZIONE LUCIA AZZOLINA

AL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE VINCENZO DE LUCA

ALL’ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI LUCIA FORTINI

AL SINDACO DI NAPOLI LUIGI DE MAGISTRIS

 

Siamo un ampio gruppo di docenti, tutti dell’Alberti di Napoli, un liceo apprezzato e cercato da una platea di studenti sempre più vasta.

E anche in ragione di questo prestigio, frutto di un lavoro appassionato, vogliamo che la città conosca il forte nostro disappunto in merito alla catena di decisioni che, partite dall’Esecutivo e in ultimo confermate da un magistrato del Tar regionale, ci obbligano, accanto ai colleghi degli altri ordini di scuola, a un abrupto rientro in classe in piena pandemia.

Questa scelta è fuor di misura per più motivi, innanzitutto pertinenti gli spazi interni ed esterni alle scuole.

 

GLI SPAZI INTERNI

 

I presìdi concepiti per la tutela della salute di professori e allievi sono del tutto insufficienti. Dal metro tra due “rime buccali” – una misura inefficace, non scientifica perché frutto di un compromesso al ribasso tutto politico – alle mascherine che gli studenti non sopportano per più di mezz’ora di seguito. Chi crede il contrario, non ha mai frequentato una classe di liceo da docente.

 

Sulle finestre da tenere aperte per il ricambio dell’aria, nulla diciamo per carità di patria. La soluzione – arcaica e comicamente deamicisiana – si giudica da sé e, più ancora, giudica chi l’ha formulata.

 

L’aula resta dunque IN SÉ un potentissimo vettore di contagio. L’aerosol al Covid vi si accumula e colpisce i ragazzi, che forse si ammalano poco ma spargono il contagio tra amici e, a casa, tra genitori e parenti anziani. E, se permettete, quell’aerosol colpisce anche noi professori e quindi, indirettamente, le nostre stesse famiglie. Mentre scriviamo lo ha appena ribadito in TV e per la volta ennesima, il professor Walter Ricciardi: vox clamantis in deserto.

 

Ancora: gli ingressi scaglionati, le uscite sfalsate e i doppi turni, se forse attutiscono – in realtà lo spalmano nell’arco della giornata intera – l’impatto degli affollamenti esterni alla scuola, lasciano irrisolto il punto della salubrità delle aule. Nelle quali, seguendo anche alla lettera le modeste norme in vigore, si realizza nella pratica UN ASSEMBRAMENTO di quattro o cinque ore. Una situazione non tollerata, e a ragione, nei pubblici locali di svago, intrattenimento o d’altra natura.

 

Altro si doveva fare, altre scelte andavano assunte. Ma nulla è venuto dalle istituzioni competenti. Pervicacemente e testardamente.

 

Era necessario:

1)      dividere le classi, non accorparle, come ancora si è scelto di fare in piena pandemia, l’estate scorsa, per puri, rozzi obiettivi di cassa.

Con classi meno numerose – in Italia le prime superiori si formano se di numero pari o maggiore a 27 allievi – i docenti avrebbero avuto a che fare con gruppi, bilanciati e gestibili, di quindici, sedici unità. Come avviene nei paesi civili con cui amiamo paragonarci. Pandemia o non pandemia;

2)      un’assunzione di massa di tutti gli abilitati. Un “tutti i vivi all’assalto”, insomma. Una scelta pragmatica e, nel caso, obbligata dalle circostanze. Si è invece preferito indire un lunare concorso la cui conclusione, al netto di inevitabili ricorsi, è sulle ginocchia di Zeus;

3)      su un piano molto concreto, materiale, era necessario, è necessario e quasi vitale il pronto acquisto di sanificatori/purificatori d’aria, la cui messa in opera è assai semplice. Sarebbero stati infinitamente più utili dei banchi monoposto, statici o “a rotelle” che siano.

 

GLI SPAZI ESTERNI: ASSEMBRAMENTI E TRASPORTI

 

Nulla di concreto e decisivo è stato fatto in proposito. A proposito degli assembramenti in entrata e in uscita di scuola, so parlato dell’intervento di personale della Protezione Civile. Ma al momento, per ciò che concerne gli ordini scolastici inferiori e le medie, si è trattato dell’ennesima promessa a vuoto.

La drammatica situazione del pubblico trasporto, segnatamente a Napoli e nelle sua provincia, non ha conosciuto, allo stato, significative implementazioni né miglioramenti quantitativi o qualitativi apprezzabili. I mezzi restano scarsi, poco performanti, non controllati. Siamo insomma nella stessa situazione del marzo e del settembre 2020. Il “tavolo” con la Prefettura ha partorito scelte insufficienti e destinate, allo stato, a restare quasi del tutto sulla carta.

 

Gli allievi e i professori arriveranno dunque a scuola, a meno di non usare mezzi privati, a bordo di rari carnai, in cui distanze e tutele son destinate a restare flatus vocis. Chiacchiere, cioè.

Nelle aule, pronte a riempiersi di aerosol al Covid, accedono così ragazzi e professori già entrati in contatto col virus.

 

LA SOCIALIZZAZIONE E LA DAD

 

Voci molteplici e pensose si sono alzate, sui media, in difesa della scuola come spazio di una “socializzazione” che la DAD inibirebbe.

Bastino due osservazioni:

  1. a) non si comprende dove e a quale livello si collochi la socializzazione in una didattica in presenza durante la quale non ci si potrà accostare l’uno all’altro, chiacchierare tra studenti, tra colleghi oppure organizzare uscite didattiche o semplici pause di alleggerimento: gli intervalli. Nelle scuole si respirerà e già si respira una tetra atmosfera ospedaliera, al netto della sicurezza igienica che almeno offre un nosocomio;
  2. b) in DAD la socializzazione si realizza egualmente. In modi e a livelli diversi ma, allo stato, certo più intensi che non in un ambiente in cui ogni movimento deve o dovrebbe essere controllato e misurato. Infine: la socializzazione, pure importantissima, non è lo scopo primario della scuola. È solo un mezzo attraverso cui si realizza l’unico vero fine della didattica: la formazione della persona, in termini civili e culturali. La scuola, insomma, non è o non è, almeno in misura eminente, un luogo di incontro. È innanzitutto lo spazio della conoscenza, trasmessa e liberamente discussa.

 

L’EFFICACIA DELLA DAD

 

L’errore di fondo è stato il creare una ficta alternativa tra lezione in presenza e DAD. QUESTA ALTERNATIVA NON C’ERA E NON C’È; è solo una forzatura paralogica, che ha finora prodotto – e non poteva essere diversamente – precipitose macchine indietro e chiusure delle scuole sine die. L’ALTERNATIVA VERA ERA TRA DAD – che è tener lezione con altri mezzi; non è “chiudere le scuole”, come si ripete buffamente –  E IL NULLA, ossia il deserto didattico che l’Italia conobbe, ad esempio, tra il ’43 e il ‘45. O quello che Napoli patì durante il colera o dopo il terremoto del 1980. Quando le scuole restarono chiuse per mesi e mesi.

 

La soluzione del 50 % in classe e del 50% in casa al PC – la cosiddetta didattica mista – NON FUNZIONA. Non può funzionare e lo capisce chiunque abbia fatto DAVVERO lezione. E’ un assurdo didattico perché obbliga il docente all’assunzione, contemporanea e dunque impossibile, di due stili comunicativi: uno per chi è in aula e uno per chi è a casa. E’ stata sperimentata e si è notato che il docente finisce con l’interagire davvero solo con chi è in classe. FATALMENTE. Ritmi, scelte lessicali, costruzione della lezione sono profondamente differenti, in presenza o in DAD. Ora, costringere un professore a parlare a mezza classe presente e a mezza appollaiata alle finestre di Google Meet, equivale a gettarlo in una zona grigia che favorisce SOLO chi in aula fisicamente c’è ed entra in empatia con il docente. I ragazzi collegati in remoto rimangono figurine sullo schermo, mute o semimute.

 

LA SOLUZIONE SEMPLICE

 

E dunque: SI VACCININO I RAGAZZI DAI 14 ANNI IN SU. VACCINATE NOI DOCENTI e si dotino le aule di sanificatori. dell’aria. A queste condizioni torneremo in classe di corsa. Perché è quello il nostro posto. In cui però vogliamo lavorare in SICUREZZA. Quella sicurezza che siamo sovente sollecitati a rispettare da “esperti” che vengono seriosamente a spiegarci che infilare le dita in una presa di corrente è pericoloso quanto spengere un cortocircuito con una secchiata d’acqua.

 

I professori

Antonia Lopez, Myriam Bani, Patrizia Iacomino, Valeria Di Ieso, Stefania Felicità, Simona Valentino, Paola Villanis, Luisa Scarano, Elisabetta Leo, Lucia Gangheri, Ciro Fiorentino, Maria Luisa Pirrò, Flora Rugiero, Anna Greco, Diana Dorato, Ernesta Carloni, Debora Cretella, Francesca Aurelio, Emilia Pepe, Marilisa De Rosa, Carlo Pelliccia, Laura Letizia, Daniela Mancaniello, Annamaria Parascandolo, Geraldina Galante, Maria Elisa D’Angelo, Flavia Benedetto, Nadia Pennino, Marilisa De Rosa, Paula Magrini, Manuela Torre, Lucio Galdo, Emilia Parente, Valeria D’Avenia, Anna Calabrese, Valeria Plutino, Flavia De Masi, Alessandra Ruggiero, Rosa Anna Di Pasquale, Anna Guida, Vittorio Sommella, Giuseppe Bordoni, Daniele Vaccaro, Giovanna Melchiorre, Maria  Rosaria Ficalora, Alessandra Russo, Roberta Infranca. Sabrina Ilardi, Egle Esposito, Maurizio Oberholtzer Ornella Sabatino Mirtha Spera, Viviana Morgera e Biagio Buonomo.

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