Luciano De Crescenzo, l’erede dell’illuminismo napoletano.

Il cavalluccio rosso, protagonista di una delle scene de ' Così parlò Bellavista' di Luciano De Crescenzo esposto nei vicoli di piazza Mercato a Napoli e bardato a lutto per la morte dello scrittore napoletano, 18 luglio 2019 ANSA / CIRO FUSCO

“Era il perfetto erede dell’illuminismo napoletano, una persona di grande umorismo e tolleranza, di fine educazione e insieme capace di battute sempre folgoranti e divertenti”. Piero Angela ricorda così Luciano De Crescenzo – morto oggi a Roma a 90 anni – che conosceva bene: “Intanto aveva quasi la mia età, ci separavano solo poche settimane. E poi ci siamo incontrati diverse volte – racconta – l’ultima a cena a casa di Marisa Laurito: in quella occasione era molto chiuso in se stesso, aveva perso quel modo brillante di porsi”.
Tra i tanti ricordi, Piero Angela cita un episodio avvenuto durante le riprese del film Così parlò Bellavista, che gli aveva raccontato lo stesso De Crescenzo: “Durante una pausa della lavorazione, un signore si avvicinò e gli disse: ‘Dotto’, venga a casa mia, devo farle vedere una cosa che apprezzerà’. E Luciano: ‘Guardi che ho da fare, sto lavorando’. Ma poi, dopo diverse insistenze, ci andò. E quel signore gli mostrò un piccolo quadro appeso alla parete, coperto da una specie di sipario, con una candelina davanti come si fa con i santi. ‘Ma chi è, San Gennaro?, chiese De Crescenzo. L’uomo tirò il cordino del sipario, e venne fuori un grande punto interrogativo.
Insomma, era un altarino al dubbio: simbolo perfetto di quello scetticismo elegante che solo a Napoli può esistere”. (ANSA).

“La nostra è stata un’amicizia straordinaria. Nata più di 40 anni fa. A legarci era l’amore per Napoli”. E’ commosso Renzo Arbore mentre ricorda con l’ANSA il rapporto speciale che lo legava a Luciano De Crescenzo, morto oggi a Roma per una grave malattia. Un’amicizia cementata da lunghe serate in compagnia, da film girati insieme, da programmi televisivi che hanno fatto storia come Quelli della notte o Tagli, ritagli e frattaglie.
La memoria torna indietro, “al periodo più straordinario della nostra vita”. All’inizio degli anni Settanta, intorno ad un gruppo di amici tutti napoletani. “Era la Napoli migliore, e Luciano era il capo di questa città meravigliosa, di cui noi conoscevamo la cultura antica, ma anche i suoi difetti”, racconta Arbore. “De Crescenzo era l’intellettuale, anche se veniva da studi di ingegneria elettronica, una facoltà irraggiungibile. Il primo ricordo che ho è lui che discute con computer, in tempi in cui nessuno ancora sapeva bene cosa fosse un computer”.
Una storia che De Crescenzo amava raccontare era l’inizio del loro rapporto, nato quando scoprirono di avere la stessa fidanzata, tra Sorrento e Napoli. “Era vero, era la sua storia preferita – e il sorriso della nostalgia corre sulle onde elettromagnetiche della linea telefonica -. I suoi racconti, le sue storie erano ciò che apprezzavo di lui. Fu il suo essere affabulatore a spingermi a segnalarlo a Maurizio Costanzo”, dove divenne una presenza fissa negli anni Novanta. Ingegnere, ma grande divulgatore. In saggi e romanzi, in tv, al cinema. “Luciano ha vissuto tante vite – racconta ancora Arbore, parlando un po’ al presente un po’ al passato, per una perdita che fa male -. Prima del successo, era stato campione di motonautica, poi cronometrista. Era diventato ingegnere, prima di scegliere la strada della scrittura. Ha venduto 25 milioni di copie, è stato tradotto in 42 Paesi e alcuni suoi testi sono studiati nelle scuole straniere. Era un divulgatore straordinario, condiva la filosofia con il sorriso. E con parole che tutti potevano comprendere. Il sorriso è la cosa più difficile da contrabbandare, perché vieni subito sottovalutato come intellettuale e diventa umorista”.
Proprio grazie ad Arbore, De Crescenzo si avvicinò anche al cinema. Nel 1980 debuttò come attore nel Pap’occhio, e qualche anno dopo fu protagonista anche in “FF.SS. cioè …che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?”, entrambi diretti da Arbore. “Fu il periodo più straordinario della nostra vita”. De Crescenzo rappresentava “la napoletanità per bene, quella ottima, quella signora, quella della cultura. Quella che oggi si sta rivalutando. La Napoli bella, solare, elegante. La Napoli che è rinata anche grazie a lui”. E poi gli ultimi ricordi, quelli più dolorosi. “L’ultima volta siamo andati a trovarlo a casa con Marisa (Laurito, ndr): ci ha firmato il suo ultimo libro. Come faceva di solito, ‘al primo’, perché ero il primo amico cui lo dava. Negli ultimi giorni in ospedale, invece, mi faceva ascoltare le canzoni napoletane della sua gioventù, quelle più belle”. La voce si incrina, i silenzi diventano macigni.

“Oggi si è spento un faro. Tutti dobbiamo essergli grati, per l’allegria, l’intelligenza vitale, esagerata, lo spirito di ironia, la capacità di insegnare a tutti la filosofia, trasformandola in una materia popolare che è riuscito a divulgare attraverso i suoi libri, che hanno venduto 25 milioni di copie in quarantadue Paesi in tutto il mondo”.
Marisa Laurito ha la voce rotta dall’emozione nel ricordare con l’ANSA “il grande intellettuale, lo straordinario uomo di cultura”, ma soprattutto “l’amico” Luciano De Crescenzo, morto oggi a 90 anni.
“Se ne va un pezzo di me”, sospira l’attrice, che con De Crescenzo ha recitato nel film Il mistero di Bellavista e ha condiviso la stagione irripetibile di Quelli della notte di Renzo Arbore, tra umorismo, improvvisazione, tormentoni lapalissiani e surreali. “E’ una persona insostituibile: per quarant’anni ci siamo frequentati, trascorrendo anche il Natale insieme, con la sua famiglia, con Renzo. E’ stata una colonna portante per me, un amico che non mi ha mai tradita, una persona davvero unica. Ogni volta che lo vedevo gli dicevo: ‘Luciano, ti voglio bene’. E lui rispondeva: ‘E io di più'”.
“Aveva la sua città nel cuore. Bastava dirgli: andiamo a Napoli? e gli si allargava il sorriso. Ci andavamo spesso insieme – ricorda Laurito – un giro in centro, un caffè a Spaccanapoli… Era un simbolo della Napoli bella, colta, signorile. E adorava le canzoni napoletane: per questo fino alla fine gli ho cantato, sussurrandogliela nell’orecchio, sottovoce, la sua melodia preferita, ‘Era de maggio'”. “Con Renzo, la figlia Paola, il genero, gli siamo stati accanto fino all’ultimo. Voglio ringraziare tutta l’equipe del Gemelli, sono stati straordinari”, ci tiene a sottolineare l’attrice. “E ringrazio anche tutte le sue persone care, il segretario, i due domestici filippini che erano affezionatissimi a lui e che ormai meditano di lasciare l’Italia: dove la troveranno mai una persona così?”.(ANSA).

E’ il protagonista di una delle scene più famose dei film di Luciano De Crescenzo: il cavalluccio rosso di ‘nonno’ Riccardo Pazzaglia in “Così parlò Bellavista” acquistato in piazza Mercato. Qui oggi, alla notizia della morte dello scrittore napoletano, uno dei commercianti che dopo decenni si ostina a tenere esposto quel vecchio giocattolo, lo ha bardato a lutto.
Per tutti, anche se nel film Pazzaglia ha sottobraccio un altro giocattolo simile, il cavalluccio rosso con le orecchie da ciuccio, un sorriso smagliante e le ruote al posto delle zampe, quello è “il cavalluccio di De Crescenzo”. E allora Fabio, che in vico Lavinaio ha il suo negozio, lo ha tirato giù da un espositore esterno e gli ha attaccato attorno alla testa un collare nero.
“Certo che ricordo la scena – dice commentando la notizia della morte di De Crescenzo – c’era quello che aveva subito un furto e a chiunque si avvicinava e chiedeva ‘Scusate cosa e’ successo?’ lui ripeteva la storia aiutato da tutti quelli che avevano assistito”.