Scomparsi in Messico, condannati 2 poliziotti, fuggita una terza imputata.

Un momento della fiaccolata di parenti, tra i quali Silvana Esposito (S) moglie di Raffaele Russo e mamma di Antonio, due dei tre napoletani scomparsi in Messico, scesi in piazza a Napoli per chiedere l'interessamento delle isituzioni al caso, 28 febbraio 2018. ANSA/CIRO FUSCO

Il Tribunale dello stato messicano di Jalisco, al termine di un processo durato dieci giorni, ha condannato Salomon Adrian Ramos Silva ed Emilio Martines Garcia, due poliziotti, per la “sparizione forzata” di Antonio Russo e Vincenzo Cimmino, due dei tre italiani scomparsi in Messico il 31 gennaio 2018.

Per la condanna di Linda Guadalupe Arroyo, che si è data alla fuga ieri durante una pausa, si dovrà attendere la cattura.

Le pene saranno rese note nel corso di una prossima, udienza che dovrà essere al massimo entro 5 giorni.

Il racconto fornito agli inquirenti e ai giudici durante la fase dibattimentale da Francesco Russo, figlio, fratello e cugino dei tre scomparsi ha trovato ampia conferma: il 31 gennaio 2018 furono quattro gli agenti che prelevarono i due giovani in strada per consegnarli, dietro compenso, al cartello criminale Càrtel Jalisco Nueva Generacion (CJNG). Il quarto agente, Fernando Hernandez Romero non è imputato in quanto morto, in circostanze misteriose, in carcere.

Durante il dibattimento sono state ascoltate alcune intercettazioni che, per la prima volta, hanno messo in relazione la scomparsa di Antonio Russo e Vincenzo Cimmino con quella di Raffaele Russo, di cui si erano perse le tracce già diverse ore prima del figlio e del nipote. Il processo si è concluso con le arringhe degli avvocati delle varie parti in causa tra le quali figurano anche gli avvocati Claudio Falleti e Luigi Ferrandino, legali delle famiglie Russo e Cimmino, e l’avvocato che ha rappresentato le parti offese in loco, Joaquin Esparza Mendez, dello studio internazionale Falleti, che invece ha discusso tre giorni fa.

Le prove offerte in udienza hanno evidenziato oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità degli imputati, le circostanze della sparizione dei nostri tre connazionali sono state chiarite, la condanna, che giunge a distanza di tre anni dai fatti, rappresenta l’ultimo atto di questo importante processo, ma non siamo riusciti a sapere dove sono stati portati e dove si trovano Raffaele, Antonio e Vincenzo: era anche questo il nostro obiettivo”. E’ il commento dell’avvocato Claudio Falleti, legale delle famiglie di Raffaele Russo, Antonio Russo e Vincenzo Cimmino, i tre italiani di cui si sono perse le tracce in Messico il 31 gennaio 2018, alla sentenza condanna di due dei tre poliziotti coinvolti nella “sparizione forzata” dei tre connazionali. “Il giudice ha accolto le mie osservazioni e nel corso della mia arringa ho ricordato – ha aggiunto Falleti – la rilevanza internazionale del caso, che coinvolge Italia e Messico, forse l’irreparabilità dell’accaduto e anche la gravità dei fatti, peraltro sottolineata anche dalla Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) e dall’ONU“. “Ringrazio Sonia Alvarez Cisneros, Jaime Navarro Hernandez, Jorge Vejar Villa e Manuel Alejandro Gutierrez Banuelos della Fiscalia, la magistratura inquirente messicana, per il lavoro svolto in coordinamento con il procuratore di Jalisco Gerardo Octavio Solis Gomez. Restiamo ora in attesa – ha concluso Falleti – della prossima udienza, fissata il 9 aprile, durante la quale verrà comunicata l’entità delle pene inflitte ai condannati”. “Gli imputati e i testimoni, – ha aggiunto l’avvocato Luigi Ferrandino – evidentemente preoccupati per la propria vita, hanno mentito in maniera evidente, hanno mentito non offrendo strumenti per individuare il luogo dove sono tenuti segregati i tre napoletani di cui si sono perse le tracce”. “Assieme al collega Falleti – ha sottolineato Ferrandino – non abbiamo perso un solo momento del processo: nella mia arringa difensiva ho evidenziato che gli imputati erano poliziotti e che con la loro condotta hanno tradito il loro Paese ed il loro ruolo sociale, e la fuga della poliziotta ieri dal tribunale costituisce riconoscimento di colpa“. (ANSA)

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