di Chiara Zenzani
Il regista napoletano Vincenzo Marra presenta il suo film “Tornando a casa” in occasione della Viennale, all’interno del programma speciale “Napoli!Napoli!” tutto dedicato al cinema napoletano. “Tornando a casa” è un film profetico e di valore universale: ci racconta la divisione tra due continenti, l’Italia e l’Africa, eppure distanti solo poche miglia. È la storia di un gruppo di pescatori napoletani che rischia la propria vita pescando illegalmente nelle acque del nord Africa, non distanti dalla Sicilia. I pescatori, scelti uno ad uno dal regista, sono pescatori veri e propri, in un film il cui obiettivo è porre lo spettatore di fronte alla realtà. È stato girato nel 1999, quando il regista aveva solo 27 anni.
Intervista esclusiva a Vincenzo Marra:
Qual’è il ruolo di Napoli all’interno del film?
Napoli è un porto di ritorno: è come una mamma che devi abbandonare per recidere il cordone ombelicale, ma da cui non riesci mai davvero a separarti. Per noi Napoli è una mamma.
Che cos’è il mare per te?
Il mare dovrebbe aprire la mente, ha a che fare con l’anima. Il fratello di mio nonno aveva navigato tutta la vita come medico di bordo nelle grandi navi, lui mi disse questa frase: “ricordati al mondo ci sono i vivi, i morti, e i naviganti”. Nel momento in cui abbiamo iniziato a girare il film c’era una grande incognita: il mare. Dovevo girare cinque settimane in mezzo al mare, quasi sempre di notte, ed essendo un film povero non c’era possibilità di andare oltre quel tempo. Il primo giorno di riprese il mare mi ha fatto vedere la sua potenza, e siamo dovuti ritornare in porto. Ero arrabbiato, ma come dice uno dei miei più grandi concittadini, Eduardo de Filippo “gli esami non finiscono”. Se il film è buono è perché me lo ha permesso il mare.
Da dove nasce l’esigenza di riportare la realtà attraverso i tuoi film?
Da spettatore spesso non credo nello spessore profondo dell’attore che interpreta, trovo che spesso nei film c’è uno spessore psicologico che manca. Vengo dall’idea del talento rispetto ad una professione: c’è bisogno della creatività, e la creatività passa anche per chi interpreta. Penso che sia un obbligo cercare di dare verità a chi sta vedendo il film. Attraverso i miei film cerco di lasciare delle memorie: “Tornando a casa” ha 16 anni di età, se rimarrà qualcosa nelle persone attraverso i valori che porta, sarà una piccola catena.
Come pensi che il film si relazioni alla Napoli contemporanea?
Nel film c’è la grande metafora del ritorno a casa. Noi siamo anche un popolo di migranti, quindi quel desiderio di poter tornare a casa, seppur non si dovesse realizzare mai, appartiene a tanti napoletani che se ne sono andati: questo sogno è presente nel film. Il film racconta anche dello spirito di solidarietà che è sempre vivo a Napoli. Un altro sentimento molto napoletano, quello di tener duro sulle cose, a discapito dei luoghi comuni e di quello che la gente crede.
Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?
Intanto bisogna lottare per rimanere vivi. È una lotta di sopravvivenza, secondo la teoria di Darwin il più intelligente è quello che resiste di più, non quello con capacità mentali maggiori. Cercare di vivere la vita sempre come se fosse l’ultimo giorno. Nel cinema, forse, una commedia. Vivo a metà tra la speranza e il destino.