Morto Mario Corso, allenò anche la primavera del Napoli.

Mario Corso è stato un grande della Grande Inter, il mancino più estroso degli anni ’60, “il piede sinistro di Dio”, come lo definì il ct di Israele, Gyula Mandi, dopo la doppietta con cui nel 1961 la sua nazionale fu ribaltata in uno spareggio per le qualificazioni al Mondiale.
Non ne giocò mai uno (in azzurro 23 gare e 4 reti), ma in compenso Corso, morto a quasi 79 anni, ha scritto pagine indelebili della storia nerazzurra, 502 presenze con 94 gol, uno scudetto nel 1963, la coppa dei campioni l’anno successivo, poi il triplete del ’65, scudetto e Intercontinentale nel ’66, e infine un altro campionato vinto nel ’71.

Indossava la maglia numero 11 ma non era un’ala sinistra, anzi tendeva a partire dall’altra fascia per rientrare e sfruttare il suo mancino. Per i maligni usava il piede destro solo per salire sul tram o scendere dal letto.

“Meglio un piede solo buono che due scarsi”, la risposta che opponeva sempre quel fuoriclasse che, con i calzettoni abbassati (un omaggio a Omar Sivori), era capace di prorompenti galoppate palla al piede da una parte all’altra del campo, trasformate in geniali passaggi o colpi mancini. A lui è attribuita l’invenzione dei tiri ‘a foglia morta’. Colpiva con sensibilità rara il pallone, che partiva piano e prevedeva traiettorie perfide e poco leggibili per i portieri. “Sapevo tirare solo a quel modo però i portieri non riuscivano a prenderla – raccontava -. Non ho mai neppure pensato di calciare in un altro modo”.

Sanguigno per carattere, era un concentrato di genio e indolenza, quando faceva troppo caldo a San Siro non era infrequente vederlo a battere soprattutto le zone in ombra del campo. Lo chiamavano anche Mariolino, Matto Birago (copyright di Gianni Brera, che declinò al maschile una leggenda lombarda), ed era Mandrake nella Grande Inter del Mago Helenio Herrera, con cui non mancarono frizioni e scontri. L’inquietudine indolente di Corso affascinava il pubblico di sinistra all’alba del Sessantotto. Da allenatore ha guidato la Primavera del Napoli, il Lecce, il Catanzaro, per poi essere richiamato in nerazzurro da Ernesto Pellegrini nel 1985 al posto di Ilario Castagner. (ANSA).

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