Un altro lutto nel calcio, morto a 64 anni Paolo Rossi, l’uomo dei Mondiali 1982.

E’ morto a 64 anni Paolo Rossi, l’ex calciatore campione del mondo con l’Italia nel 1982. Ne ha dato notizia nella notte la moglie Federica Cappelletti, sul suo profilo Instagram.

Per sempre“, ha scritto la Cappelletti pubblicando sul social network una foto di lei col marito.

Negli stessi minuti dava conto della scomparsa di ‘Pablito’ anche il vicedirettore di RaiSport, Enrico Varriale: “Una notizia tristissima, ci ha lasciato” un “indimenticabile, che ci ha fatto innamorare tutti in quell’Estate dell’82 e che è stato prezioso e competente compagno di lavoro negli ultimi anni”.

“Sei mesi fa ho perso un fratello, oggi ne piango un altro. Non voglio dire altro, per me questo non è il momento di parlare”. Al telefono con l’ANSA, Antonio Cabrini, compagno di squadra di Paolo Rossi per tanti anni alla Juve e in Nazionale, è distrutto nel ricordare il goleador dell’Italia Mundial.

“L’ho saputo cinque minuti fa, mi dispiace tantissimo. Non so cosa dire, è stato fulmine a ciel sereno”. Così Dino Zoff, appresa la notizia della scomparsa di Paolo Rossi, eroe della Nazionale campione del mondo del 1982. “Abbiamo sempre avuto un grande rapporto con Paolo, simpatico, intelligente – prosegue Zoff al telefono con l’ANSA – Era un po’ che non ci sentivamo, ci avevano detto qualcosa ma non pensavo fosse così grave. I rapporti con lui erano stupendi, era simpaticissimo. Intelligente, aveva tutto per stare bene. Qualcosa difficile da capire”.

Lo ammetto… piango. Facevi parte del gruppo di ‘Amici Veri’. E’ il messaggio commosso di Zibi Boniek per la scomparsa di Paolo Rossi, suo compagno di squadra con la maglia della Juventus. “Con te non solo ho vinto – conclude l’ex giocatore polacco – ma anche vissuto”.

“Paolo Rossi ci ha fatto sentire orgogliosi di essere italiani, è stato l’eroe di tutti noi. La Serie A piange un immortale del nostro calcio, amato dal mondo intero”. E’ il messaggio del presidente della Lega di Serie A, Paolo Dal Pino, per la scomparsa di Paolo Rossi. “Mando un sentito abbraccio e le condoglianze della Lega Serie A a tutta la sua famiglia”. Bandiere a mezz’asta nella sede romana della Figc e soprattutto a Coverciano, la casa della nazionale, a Firenze.

Una carriera da brivido, metafora vivente di un calcio che non cesserà mai di sorprendere. Pablito, l’eroe del Mundial spagnolo, per tutti resta “Paolo Rossi, un ragazzo come noi“: gli è riuscito persino il dribbling ad Antonello Venditti che ha poetizzato quel nome in una sua bellissima canzone. Non si trattava del centravanti azzurro, ma di uno studente omonimo, il primo morto negli scontri tra studenti e polizia a Roma, eppure in molti l’hanno sempre accostato a “El Hombre del Partido” di quel 5 luglio ’82, il giorno che gli cambiò la vita. Lui che a 17 anni voleva essere Kurt Hamrin, e che a 26 divenne Pablito.

Nonostante una carriera ‘troppo breve’ alle spalle (appena 10 anni in Serie A di cui 2 cancellati dalla vicenda delle scommesse), la corsa del Signor Rossi alla notorietà e alla leggenda è costellata da tante serpentine, riuscite o meno: dall’esplosione nel Vicenza, all’amarezza nei lunghi giorni della squalifica, dai momenti indimenticabili del Mundial spagnolo, con i tre gol al Brasile che lo hanno proiettato nell’epopea del calcio e gli hanno inimicato un popolo intero (nel 1989, a carriera finita, in Brasile per un torneo di ex glorie, fu fatto scendere dall’auto da un tassista che lo aveva riconosciuto), al desiderio di tornare a essere uno qualunque.

La favola dell’uomo “che ha fatto piangere il Brasile” inizia al termine di una fantastica stagione con il Lanerossi Vicenza: il giovane talento di Prato aveva portato la sua squadra ad un soffio da un leggendario scudetto ed aveva vinto la classifica cannonieri che gli aveva spalancato anche le porte della nazionale. Eppure non tutto era filato liscio fino ad allora: ancora minorenne ma già prospetto di prim’ordine, univa una tecnica sopraffina ad una velocità palla al piede fuori del comune, si scontrò i con i primi tackle della vita, a causa di tre operazioni al menisco. Finisce così al Vicenza e sono parecchi pronti a scommettere su una carriera già finita ancora prima di cominciare. La svolta arriva dall’intuizione di Gibì Fabbri, l’artefice del ‘Real’ Vicenza, che da ala lo sposta a centro area per mandare in rete quanti più palloni possibile. Sono due anni elettrizzanti, con i biancorossi che dominano il campionato cadetto grazie ai 21 gol di Rossi che si ripete anche nella stagione successiva, vincendo la classifica cannonieri e la convocazione al Mondiale argentino.

Non si spalancano, viceversa, le porte del ritorno alla Juventus. Alle buste, il presidente Farina lo riscatta per 2,6 miliardi, una cifra record per l’epoca che lascia tutti sbalorditi, ma che non serve ai biancorossi per evitare la retrocessione dopo il campionato dei miracoli. Tocca al Perugia (in realtà lo aveva acquistato il presidente del Napoli Ferlaino, ma Pablito preferì una piazza più tranquilla come Perugia, più simile a Vicenza, mentre gira una voce mai del tutto smentita che Silvio Berlusconi fosse pronto ad acquistarlo per poi regalarlo al Milan fresco di scudetto ma l’allora presidente rossonero Colombo temendo una scalata societaria preferì rifiutare l’offerta) scommettere su quello che ormai definiscono un ex talento e che proprio in Umbria resta invischiato nello scandalo del calcioscommesse. Sfumano gli Europei ’80 e in molti tornano a parlare di carriera finita. Ma il destino aveva ancora molto in serbo per lui. Scontata la squalifica, Rossi passa finalmente alla Juve, ma sembra ormai l’ombra del giocatore ammirato a Vicenza. Il suo mentore stavolta si chiama Enzo Bearzot che, nonostante tutto, crede ancora in lui e decide di portarlo in Spagna, insistendo anche dopo le prime opacissime prestazioni contro Polonia, Perù e Camerun. Ma i gol e il mito sono lì, a due passi. Arrivano, uno dopo l’altro, nemmeno nell’arco di due settimane, dal 29 giugno all’11 luglio: l’Italia di Bearzot esplode contro l’Argentina, 2-1 con gol di Tardelli e Cabrini, ma la madre di tutte le partite è al Sarrià: la tripletta al Brasile di Zico e Socrates diventa epos, il tabellone luminoso lo proclama “El Hombre del Partido” e in quel torrido pomeriggio spagnolo Paolo rossi capisce che il coronamento di una carriera è arrivato prima ancora dell’alloro finale. Al quale l’Italia arriva con un’altra sua doppietta (2-0 alla Polonia) e il primo dei tre gol alla Germania in finale e della finalissima contro la Germania. Ha vinto l’Italia, ma il sigillo è di Paolo Rossi, divenuto “Pablito” a furor di popolo e grazie alla sagace penna di Giorgio Lago. E’ un sogno che sembra non finire più: a Natale di quell’anno vinse il Pallone d’Oro per acclamazione, il secondo italiano dopo Gianni Rivera. Gioie e cadute, trionfo e riscatto hanno da sempre accompagnato il n.20 delle notti Mundial che più dei difensori avversari ruvidi e fallosi ha sempre temuto la popolarità devastante che lo ha portato via via ad allontanarsi, prima dal campo e poi dalla ribalta. Il Milan dell’ultimo anno di Farina prova a dargli una nuova chance ma il biglietto è di sola andata (segnerà però 2 gol in un memorabile derby terminato 2-2, ndr), prima di fermarsi alla stazione di Verona dove Pablito giocherà la sua ultima stagione da giocatore. Poi, sarà papà felice e commentatore tv. E Pablito per sempre. (ANSA)

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