Federico II apre le Corti con il FAI, visita straordinaria alla scoperta del Complesso Trecentesco di Donnaregina Vecchia sabato 21.

Sarà il cuore più antico del complesso monumentale di Donnaregina l’itinerario del prossimo appuntamento di ‘Federico II apre le Corti con il FAI’, l’iniziativa che consentirà, a quanti lo vorranno, di visitare le splendide sedi dell’Ateneo napoletano accompagnati da guide d’eccezione: studenti federiciani e volontari del FAI.

Dopo il successo del primo incontro, che ha portato visitatori tra le mura della sede storica dell’Università laica più antica al mondo, sabato 21 maggio 2022 si tornerà nel centro storico. Il complesso di Donnaregina, nella sua parte più antica, che ospita la sede della Scuola di specializzazione in Beni architettonici e del Paesaggio dell’Università Federico II. Da largo Donnaregina ci si inoltrerà per fermarsi ad ammirare il chiostrino del Sanfelice, la chiesa trecentesca di Donnaregina, il Sepolcro di Maria d’Ungheria di Tino di Camaino, la Cappella Loffredo, il coro delle monache e l’appartamento della Badessa. Ai visitatori verrà anche narrata la storia del complesso e del recupero del prezioso sito, unico non contaminato in epoca barocca, attraverso il restauro di Gino Chierici.

La visita è gratuita e ad accesso libero ed avrà la durata di circa un’ora, primo turno alle ore 10 e ultimo turno alle ore 15.15 per gruppi di 25 persone, con ingresso ogni 45 minuti.

È consigliata la prenotazione attraverso il sito faiprenotazioni.fondoambiente.it

Sono previste visite guidate in lingua straniera a cura del Gruppo FAI Ponte tra culture (inglese, ucraino, russo, spagnolo, francese). Sarà possibile farne richiesta direttamente in loco presso il banco FAI.

Alle ore 16 presso il Coro delle Monache, Concerto a cura del Coro Polifonico Universitario, direttore Antonio Spagnolo, pianista Antima Pepe (posti limitati faiprenotazioni.fondoambiente.it)

Nel corso della giornata, sarà, inoltre, possibile iscriversi al FAI-Fondo Ambiente Italiano per ricevere la tessera che consente sconti e agevolazioni in oltre 1500 splendidi luoghi d’arte e cultura in tutta Italia.

L’apertura alla città delle sedi federiciane intende amplificare la vocazione di Ateneo cittadino, propria della Federico II, evidenziandone il forte legame che ha con il territorio. ‘Federico II apre le Corti con il FAI’ rientra in un percorso di eventi che, in vista delle celebrazioni dei suoi 800 anni che si compiranno il 5 giugno 2024, coinvolgeranno tutto il territorio metropolitano.

 L’ITINERARIO

 La visita alla Chiesa trecentesca di Santa Maria Donnaregina in Napoli comincia dal chiostrino del Sanfelice, piccolo chiostro settecentesco, detto “dei Marmi” caratterizzato da archi a tutto sesto e da pilastri ionici con specchiature marmoree che si rifanno alla tecnica dei ‘marmi mischi’ partenopei e all’uso sapiente delle lastre marmoree a vena aperta. Fonti documentarie recenti testimoniano che il rivestimento marmoreo fu realizzato dal marmoraro Vincenzo d’Adamo su disegno di Angelo Barone. Da qui, dove è possibile ammirare, tra l’altro, il portale d’ingresso con le due ‘gelosie’ cancelli metallici che consentivano alle monache di clausura di avere contatti con il mondo esterno e i pilastri angolari che hanno al loro interno dei pilastri ottagonali che sorreggono due archi a sesto ribassato, probabilmente parte di un porticato del Quattrocento, si accede alla chiesa trecentesca di Donnaregina.

L’edificio, un «palinsesto» complesso, fu realizzato nel 1293 per volontà di Carlo II d’Angiò che volle ricostruire il preesistente complesso monastico di San Pietro ad Montes, in rovina dopo un grave sisma, anche con l’ausilio della moglie, Maria d’Ungheria, a cui fu dedicato lo straordinario sepolcro marmoreo realizzato da Tino da Camaino e Gagliardo Primario (1325-26). L’impianto della chiesa segue la regola francescana e presenta un’aula unica coperta a capriate, che termina con un’abside voltata a crociera costolonata su pianta pentagonale, preceduta da un modulo rettangolare, caratterizzata da alte bifore. Il coro, non trovando posto alle spalle dell’abside o nella navata, fu posto su due file di pilastri ottagoni, che sorreggono volte a crociera. Un ricchissimo ciclo di affreschi, quasi certamente riconducibile alla scuola di Bernardo Cavallino, la impreziosisce ulteriormente. Intorno al 1620, la chiesa subì sostanziali trasformazioni poiché le monache commissionarono la costruzione di una nuova chiesa, più vicina ai gusti dell’epoca, a Giovanni Guarini, che invase quasi completamente l’abside della chiesa trecentesca.

Nel corso dell’Ottocento inizia il lento declino del complesso. Nel 1899 lo studioso Emile Bertaux ne denuncia le gravi condizioni di abbandono sollecitando un intervento di restauro che verrà intrapreso soltanto nel 1928 dal soprintendente Gino Chierici.

Il sepolcro di Maria d’Ungheria, realizzato su commissione del figlio, il re di Napoli Roberto d’Angiò, per rispettare il volere della madre di essere sepolta nella chiesa da lei fatta edificare, oggi è collocato sulla parete sinistra della navata della chiesa ma è stato spostato più volte. Sorreggono il sarcofago sul quale riposa la figura giacente della sovrana, con alle spalle due figure che reggono acqua santa e incenso, quattro cariatidi alate che rappresentano le Virtù cardinali (Prudenza, Temperanza, Giustizia, Fortezza) mentre sul fronte della cassa marmorea si sussegue il ritmo di otto nicchie archiacute che contengono le statue dei figli.

Di fronte al monumento funebre di Maria d’Ungheria si apre l’unica cappella della chiesa: la cappella Loffredo, a pianta rettangolare con due bifore e coperta da una volta a crociera. La cappella conserva cicli di affreschi trecenteschi sull’Annunciazione e la Madonna col Bambino nella parete di fondo, con un crocifisso ligneo anch’esso del Trecento; sulla parete di destra sono invece le Storie della vita di San Giovanni, su quella d’ingresso il San Francesco predica agli uccelli e riceve le stigmate mentre sulla volta sono i santi Pietro e Paolo.

Nel corso della visita, nelle aule della Scuola di specializzazione in beni architettonici e del paesaggio dell’Ateneo Federiciano ubicate nell’appartamento della badessa, attraverso un power point verrà brevemente narrata la storia del complesso di Donnaregina e del restauro affidato Gino Chierici (1928-1934) in seguito a numerosi e accorati appelli da parte di intellettuali dell’epoca, primo tra tutti il francese Emile Bertaux. Gino Chierici ricopriva in quel periodo, la carica di sovrintendente dell’Arte medievale e moderna della Campania.

L’intervento di restauro di Gino Chierici mise in luce le strutture trecentesche, mediante scavi fondazionali e numerose integrazioni, eliminò le superfetazioni novecentesche ripristinando i pilastri ottagonali, ricompose l’aspetto originario dell’abside mediante ridimensionamento del coro seicentesco e ridistribuì internamente gli apparati scultorei. L’intervento più arduo e pionieristico fu certamente la liberazione dell’abside. La parete del coro seicentesco che ingombrava l’abside policentrico trecentesco ospitava un affresco giovanile di Francesco Solimena, realizzato con colori a tempera e dunque impossibile da staccare “a strappo”. Per sopperire a tale impossibilità tecnica, Gino Chierici progettò una complessa “macchina” che, sfruttando il notevole salto di quota tra le due chiese, permise di traslare l’intera parete fondale del coro della chiesa nuova, conservando il prezioso affresco. Tale impresa permise il ripristino della magnificenza gotica della chiesa di Donnaregina Vecchia e favorì la definizione di un nuovo approccio operativo per la disciplina del restauro.

Dal 1975 la chiesa è sede della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio dell’Università di Napoli, grazie ad un accordo siglato tra il Comune di Napoli, l’Università degli Studi di Napoli Federico II e la Curia arcivescovile di Napoli.

Il coro delle monache rappresenta uno dei luoghi artisticamente più rilevanti dell’intero complesso di Donnaregina in quanto custode del più importante ciclo di affreschi del Trecento a Napoli.

Le due sale che anticipano il coro vedono nella prima una cappella votiva con affreschi seicenteschi e nella seconda, che è di fatto l’anticoro, affreschi trecenteschi di ignoto autore alle pareti. Il coro delle monache si sviluppa sopra il soffitto ribassato della navata, poggiante su sei pilastri ottagonali che sorreggono volte a crociera; la sua altezza e quella del pronao si concludono in uno slancio unico con l’altezza dell’abside stessa, avviando una particolarità architettonica che sarà in seguito osservata anche in alcune chiese tedesche. L’illuminazione di tutto l’ambiente è data da piccole finestre sul lato sinistro, mentre la parte a tutta altezza prima dell’abside presenta grandi finestre monofore.

Il ciclo di affreschi trecenteschi si salvò dai gravi danni provocati dall’incendio del tetto avvenuto per un fulmine nel 1391. Oltre a distruggere gli oggetti preziosi conservati dalle monache nel sottotetto, il fuoco provocò una diffusa alterazione cromatica, determinando un’omogenea colorazione rossastra, accentuata nelle zone alte, più vicine alla fonte di calore.

L’appartamento della badessa, rifatto nel Cinquecento, è ubicato tutto al piano del coro e delle celle, ed era costituito da tre sale, una cappella ed un terrazzo che affacciava sul nuovo chiostro.

Sulla parete di ingresso dell’appartamento della Badessa si trovano importanti affreschi, quali un frammentario Annuncio ai Pastori, Madonna col Bambino in trono tra Santi, S. Margherita, la Circoncisione.

Degna di nota è la cappellina privata della Badessa posta in fondo al corridoio con stucchi e cupolino decorato.

 

Info e prenotazioni su faiprenotazioni.fondoambiente.it

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