L’Italia dei borghi Campania – Il borgo di Caserta Vecchia.

di Lucia Giorgi

L’Italia è un paese con un notevole patrimonio culturale che, insieme alle bellezze naturalistiche, offre moltissimi esempi di osmosi nelle configurazioni paesaggistico-urbanistiche. Nel corso del tempo, infatti, la natura è stata spesso soggetta ad interventi da parte dell’uomo, dando origine ai paesaggi antropizzati. La diversificazione, in molti casi, è stata determinata sia dalle caratteristiche geo-morfologiche del territorio che dalle tecniche di coltivazione della terra e dalle tecnologie costruttive dell’architettura.

Una delle regioni in cui si riscontra una maggiore diversificazione è la Campania, dove dai paesaggi mozzafiato della costiera si passa ai rilievi collinari più interni, anche di origine vulcanica, con al centro la vasta area pianeggiante della Campania Felix. I popoli che vi si sono avvicendati nel corso dei secoli hanno lasciato testimonianze che, a volte, sopravvivono al trascorrere distruttivo del tempo e degli uomini.

Dal popolamento delle pianure in epoca pre-romana e romana si è poi passati al trasferimento sulle alture, in una modalità difensiva che poteva garantire anche la sopravvivenza in periodi in cui gli sconvolgimenti climatici, a cui purtroppo oggi ci stiamo abituando, rendevano acquitrinosi e impraticabili i terreni, dove poi la malaria si diffondeva liberamente.

Il trasferimento di molte popolazioni dagli insediamenti in pianura a quelli in collina è stato un fenomeno che non ha riguardato solo la Campania. Non è un caso che nella nostra penisola vi siano moltissimi borghi, prevalentemente di fondazione medievale. Uno dei borghi campani più famosi è sicuramente Caserta Vecchia. La sue vicende storiche sono solo in parte note e sono collegate alla Capua longobarda, alla città fondata nei pressi del fiume Volturno nel IX secolo, dopo che la Capua di fondazione etrusca e romana (l’attuale Santa Maria Capua Vetere) fu abbandonata a causa delle devastazioni saracene e degli sconvolgimenti climatici. Sul Monte Virgo, uno dei Colli Tifatini, nacque un nucleo abitato dotato di strutture difensive chiamato castrum Caserte, in cui poi si costruì il castello, oggi allo stato di rudere, una doppia cinta muraria a difesa delle abitazioni (di cui restano pochi lacerti), molte chiese e cappelle (di cui poche quelle sopravvissute) ed una imponente cattedrale.

Dedicata a San Michele Arcangelo, figura in cui i longobardi poterono traslare la loro divinità guerriera di Wotan/Odino, la cattedrale è in stile romanico ed è un unicum per il particolarissimo tiburio, un horror vacui di decorazioni a tarsie in tufo (di almeno quattro varietà cromatiche) raffiguranti animali (felini, galli), fiori, croci, losanghe, scacchiere, fasce a girali fitomorfe e il numero 8, noto simbolo dell’infinito.

Il campanile/torre a cavalcavia, innalzato sul lato destro della facciata a salienti interrotti, oltre a servire per gli avvistamenti, poteva sicuramente fungere anche da gnomone per calcolare lo scorrere del tempo nei rigidi inverni, ma anche nelle assolate giornate estive, soprattutto nei solstizi invernali ed estivi.

Se il trascorrere del tempo aveva il valore di successione perpetua per l’uomo, in cui si rifletteva la ciclicità della natura, la figura di Cristo che nasce, muore e risorge è ermeticamente ed esotericamente raffigurata sulla facciata della cattedrale. Nella monofora centrale, i due leoni che mantengono tra le zampe un maialino ed un ariete, rimandano all’α e all’ Ω, alla nascita ed alla morte di Cristo, poiché il maiale si uccide nel mese di dicembre e l’ariete è la costellazione riferita al mese di marzo.

Il simbolismo permea tutta la decorazione plastica della cattedrale e, esternamente, allude costantemente alla figura di Cristo e ai suoi insegnamenti.

Da molti secoli messaggi e concetti che dovrebbero essere universalmente condivisi, come l’accoglienza e l’inclusione, sono raccontati e resi eterni nella pietra. In una mensola di una monofora del transetto prospettante su Via Annunziata, infatti, sono raffigurate due donne che si stringevano le mani (purtroppo visibili solo in un’antica fotografia, poiché qualcuno si è divertito a rompere le loro braccia): sono Noemi e Rut. La loro storia è narrata nella Bibbia come esempio di una donna straniera, la moabita Rut, accolta nella terra d’Israele insieme alla suocera Noemi. Rut è la bisnonna di Davide, raffigurato nell’altra mensola della stessa monofora, dal quale discenderà il Messia per l’ebraismo, il Cristo per il cristianesimo.

Le pietre sembrano voler ancora raccontare ai visitatori i segreti che custodiscono, come facevano con i pellegrini ed i cavalieri che si recavano al borgo, di passaggio o per stazionare nel castello.

All’interno la cattedrale, impoverita dai restauri stilistici del Novecento, si presenta in nudo tufo grigio.

Ai lati opposti del transetto sopraelevato, invece, si fronteggiano i bianchi sepolcri gotici del conte di Caserta Francesco della Ratta (Ϯ 1359) e del vescovo Giacomo Martono, esponenti del potere politico e spirituale che si riflettono nei due edifici più rappresentativi: il castello e la cattedrale.

Le loro architetture emergevano sull’intero borgo a dominarlo ed a proteggerne gli abitanti.

Se invocando l’Arcangelo Michele si poteva sperare nella protezione dal cielo, quella sulla terra era garantita soprattutto dalla massiccia Torre dei Falchi, posta a guardia e difesa del castello.

Alta e imponente, la torre è un enorme cilindro in tufo grigio, cinto alla base da elementi di marmo bianco che, con le punte, sembrano alludere ad una corona, quella sveva.

Poiché nel 1249 il conte di Caserta Riccardo Lauro di Sanseverino aveva sposato Violante, figlia naturale dell’imperatore Federico II di Svevia, la torre poteva garantire un’ulteriore protezione al piccolo borgo, diventandone col tempo il suo elemento simbolico ed identificativo, presente anche nello stemma della città di Caserta.

L’ampia corte interna del castello, insieme all’ampia piazza/sagrato della cattedrale, diventano spazi di musica, recitazione, lettura durante il Settembre al Borgo, un evento a cadenza annuale che iniziò nel lontano 1971 e, da allora, si ripropone puntualmente accogliendo molti consensi da parte della critica e del numeroso pubblico. Rappresenta una delle manifestazioni in cui il borgo vive intensamente il rapporto con gli artisti e l’arte contemporanea, evidenziando la sua mimetica capacità ricettiva e la sua potenziale forza attrattiva. Del resto, anche  alcuni registi scelsero Caserta Vecchia per girare alcune scene di film, come Pier Paolo Pasolini per il suo Decameron, e Saverio Costanzo per diverse scene della seguitissima serie televisiva dell’Amica geniale.

Le strette stradine su cui affacciano le abitazioni in tufo, dove pochi elementi decorativi sono rimasti, rimandano indietro nel tempo, a quella semplicità ed essenzialità della vita del passato, scandita dai rintocchi delle campane, come quando infrangevano il silenzio del borgo, avvertendo che il giorno era iniziato o che stava finendo, secondo le funzioni liturgiche svolte nella cattedrale.

E il sorgere del sole si poteva osservare, così come il tramonto, affacciandosi dalle strade e dai due belvederi, a guardare la pianura sottostante estesa fino al mare dove, quando non c’è foschia, si vede anche Capri in lontananza.

Il fascino di questo borgo, rimasto quasi inalterato, può essere rivissuto conoscendone la storia, l’arte, il folklore, le antiche tradizioni contadine e le specialità culinarie riproposte dai numerosi ristoranti.

Se si avverte l’esigenza di voler staccare la spina, di stare un po’ di tempo senza lo stress quotidiano della città, Caserta Vecchia offre questa opportunità. In inverno ci si potrà riscaldare il corpo e l’anima stando vicino ad un camino; in primavera si potranno vedere gli alberi in fiore nelle campagne circostanti il borgo, mentre in estate si potrà evitare di soffrire per il caldo torrido e l’afa delle città, grazie ai piacevoli venti che vi spirano. Poi seguirà l’autunno, in cui le foglie degli alberi ingiallite cadranno e si dissolveranno nel terreno, in quel continuo processo di trasformazione a cui ci ha abituato la natura, ciclico, rituale e osmotico, che si ripete all’infinito ovunque, soprattutto nei luoghi dove gli uomini, in passato, lo hanno reso consapevolmente un elemento ordinatore della loro vita.

Lucia Giorgi

Architetto e Storico dell’Arte, Docente di Storia dell’Arte al Liceo Pietro Giannone di Caserta,

Presidente dell”associazione culturale “Centro Studi della Provincia di Caserta”. Autrice di 5 libri e numerosi articoli sull’arte e l’architettura di Caserta e altri centri urbani della sua provincia. Ha partecipato a convegni e trasmissioni televisive, tenuto conferenze e organizzato mostre fotografiche.

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