Io, Raffaele Viviani, dal 26 febbraio all’ 8 marzo Gigi Savoia e Giuseppe Zeno al Teatro Totò.

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Da giovedì 26 febbraio a domenica 8 marzo andrà in scena al teatro Totò di Napoli (Via Frediano Cavara, 12) lo spettacolo “Io, Raffaele Viviani” di Antonio Ghirelli e Achille Millo, un omaggio all’autore e attore stabiese, con Gigi Savoia e Giuseppe Zeno, per la regia di Antonio Ferrante. In scena con loro Lalla Esposito e Francesco Viglietti. Le musiche di Viviani verranno eseguite dal vivo dai maestri Vittorio Cataldi e Sandro Tummolillo. La pièce, prodotta da TTR e CGE, vede l’impianto scenico di Giuseppe Zarbo ed i costumi di Concetta Nappi.

LO SPETTACOLO.

Con questo spettacolo – si legge nella prefazione di Antonio Ghirelli –, composto esclusivamente di testi drammatici, poetici e musicali del grande autore-attore napoletano (gli estratti teatrali vi occupano la parte dominante), s’intende delineare un ritratto biografico di Viviani e al tempo stesso fornire un quadro completo della sua arte. Come Luigi Pirandello, Viviani lavorò sui personaggi e sulle situazioni del suo mondo poetico, prima sbozzandoli nel verso o nello “sketch” del varietà, quindi sviluppandoli più drammaticamente nella logica complessa della scena. Nella sostanziale aggressività al mondo reale, però, il suo teatro ricorda piuttosto quello di Bertolt Brecht. Identico è il suo approccio appassionato e furente alle ingiustizie sociali di una Napoli che, prima e dopo di lui, è stata descritta soltanto con i colori sfumati del patetismo mandolinistico; identica la geniale mescolanza di tragico e di comico, di recitato e di musicale, di lirico e di buffonesco. Perfino l’uso del dialetto, che nella tradizione napoletana restringe e soffoca il discorso, si dilata in Viviani alla riscoperta di una lingua genuinamente popolare, violenta, aspra, cupamente umoristica, disperatamente umana – come le vicende della gente semplice che essa aiuta a capire.

IL RITRATTO DI VIVIANI. Con il nostro spettacolo “Io, Raffaele Viviani” – conclude Ghirelli – abbiamo voluto disegnare il ritratto di un artista e di una città che contestano rabbiosamente la maschera convenzionale che si è voluta applicare sul loro volto. Ogni parola dello spettacolo è tolta dal teatro, dai versi, dalle pagine del grande poeta, come una ballata popolare, un’infernale tarantella di suoni e di voci che rassomigliano, insieme, ad un atto d’amore e ad una maledizione.

NOTE DI REGIA. Molti intellettuali, compreso Antonio Ghirelli nella prefazione di questo spettacolo, mettono in relazione il teatro di Viviani, con quello di Brecht. Io , per quello che può valere, sono totalmente d’accordo – così nelle note del regista Antonio Ferrante. Ciò detto, non mi dilungherò nell’elencare le innumerevoli similitudini che si riscontrano nei due autori. Rischierei di ripetere in modo maldestro concetti già espressi da persone molto più autorevoli di me. Ma, se mi è consentito, vorrei espormi ad un rischio :trovare una similitudine tra Viviani e la sedia Thonet “14”. Elemento che, insieme a pochi altri, ho deciso di inserire nell’impianto scenico. Inizialmente può sembrare riduttivo e per certi versi quasi irriverente. È stato come trovare un nesso tra “Gli asparagi e l’immortalità dell’anima” del grande Achille Campanile. Ma, spulciando qua e là, qualcosa ho trovato. La Thonet n. 14, è considerata da tutti “la sedia delle sedia”. Le Courbusier si esprimeva in questi termini “una straordinaria integrazione di tecnica e di stile. La sedia trasmette, attraverso un linguaggio estetico coerente e razionale, una leggerezza mai vista prima”. Per esprimere un concetto, non è necessario avventurarsi in colte citazioni. Ecco, se dovessi descrivere il teatro di Viviani, potrei dire, in maniera sintetica ma efficace che il teatro di Viviani, pur manifestandosi attraverso un linguaggio popolare, aspro, a tratti violento, “ci trasmette sempre una leggerezza mai vista prima, una straordinaria integrazione di tecnica e di stile”. E’ per questo motivo che in un palcoscenico vuoto dove troneggiano maestosi i tre elementi simbolo del teatro vivianesco e cioè il baule, simbolo del viaggio, l’anneto, simbolo del lavoro, il faro, simbolo dell’emigrazione, ho pensato di introdurre un quarto elemento: la sedia thonet. Sarebbe stato più opportuno introdurre la sedia di paglia in sintonia con la nostra tradizione? Può darsi. Sarebbe, però, opportuno intendere questo accostamento, oltre che per le osservazioni in precedenza descritte, anche come il simbolo di una apertura verso un teatro di stampo Europeo tanto caro a Millo e Ghirelli ideatori di questo spettacolo.

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