La Polizia celebra le vittime delle foibe nel Giorno del Ricordo

Si celebra oggi il “giorno del ricordo” istituito nel 2004 dallo Stato italiano per ricordare le vittime delle foibe durante la seconda guerra mondiale e l’esodo delle popolazioni giuliano-dalmate di lingua italiana dai territori ora ricompresi in Slovenia e Croazia.

Il 10 febbraio, giorno scelto per questo ricordo non è casuale: proprio il 10 febbraio a Parigi, con i trattati di pace, i territori orientali del regno d’Italia furono in parte consegnati alla Jugoslavia.

In quei tragici giorni circa 350 poliziotti furono uccisi o dati per dispersi. Per molti di loro, infatti, non si conosce ancora la fine reale.

In un crescendo di violenza, man mano che le truppe jugoslave risalivano la Croazia, i poliziotti, così come anche altri uomini in uniforme, furono uccisi senza pietà: la questura di Zara perse 13 uomini, 20 quella di Spalato, 3 quella di Lubiana. Arrivati a Gorizia furono rastrellati 102 poliziotti, poi spariti nel nulla. 64 a Fiume e 5 a Pola fecero la medesima fine.

A Trieste, circa 160 poliziotti furono infoibati. Di alcuni di loro si è avuta la certezza dopo il ritrovamento dei corpi sull’altopiano carsico dentro l’abisso Plutone. Loro sono Gaspare Sciscioli e Raimondo Selvaggi rispettivamente di 38 e 28 anni, Santo Caminiti di 39 anni e Giovanni Spinelli di 35. Antonio Picozza e Matteo Greco avevano solo 22 anni quando vennero catturati e uccisi. La colpa di ciascuno di loro era solo di vestire una divisa. Tutti finirono in fondo alla foiba profonda 112 metri.

Non andò meglio a Emilio Torbelli anche lui ventiduenne; convalescente nella sua casa vicino Trieste perché ferito alle gambe, fu prelevato dai partigiani e ritrovato sepolto nel comprensorio di Trieste, dopo 8 mesi, seminudo, con molte fratture al cranio.

I racconti dei sopravvissuti che cercarono di dare sepoltura alle persone assassinate parlano di filo spinato per legare i polsi tra le persone imprigionate; pesanti pietre per assicurare che nessun corpo gettato in mare o nelle cavità della terra, potesse riemergere.

Con l’armistizio dell’8 settembre e la dissoluzione dell’Esercito italiano, le truppe jugoslave risalirono rapidamente l’Istria e la Dalmazia imprigionando militari, Forze dell’ordine, esponenti politici non allineati al nuovo regime comunista e persino molti esponenti del clero. Furono migliaia le persone uccise in modo sommario e gettate, alcune ancora vive, dentro pozzi, cavita naturali o addirittura in mare dalle scogliere.

Il numero preciso dei morti è tutt’ora sconosciuto, ma quello che è certo è che moltissimi cittadini di lingua italiana dell’area giuliano dalmata furono spogliati di tutti gli averi e costretti, in gran fretta, ad abbandonare le loro case per entrare in Italia.

Un numero stimato tra i 250 mila e 350 mila civili scapparono per riparare oltre il confine disegnato a Parigi nel 1947.