“ Immagini dal mondo”, “Ut pictura poësis”, Armando Arpaja espone a Procida.

Essere italiano e contemporaneamente filoellenico è  dimostrazione di grande sensibilità.

Preferire la Grecia, quest’Oriente senza tanto colore e Occidente senza sfarzo e inutili superficialità, sta a dimostrare che sei di quelli che amano la precisione e non desiderano la confusione.

Le opere di Armando Arpaja  illustrano il suo amore per la specifica bellezza di ogni cosa, e non soltanto greca. Si limitano in questo amore e da questo prendono energia.

Salutiamo quindi con gratitudine l’approdo del maestro Armando Arpaja, in uno dei luoghi più  belli   e     magici   del golfo di Napoli:  l’isola di Procida con  le sue  terrazze,  i suoi vicoli abbagliati   dal   sole,  i suoi tramonti, con il suo antico castello pieno di storia e la Marina di Corricella con il suo porticciolo che sembra una tavolozza piena di colori. E quale altro luogo d’approdo potevamo pensare per questo artista viaggiatore, carico di esperienze e di visioni?  “Ut pictura poësis” è più  del sotto titolo di una mostra; ha qualcosa del proclama, qualcosa della confessione: un     progetto     artistico     chiaramente     determinato     e     dichiarato  ma, contemporaneamente   un’esigenza   intima   irrinunciabile.   Poetica   e   visionaria,   in questo catalogo la pittura di Arpaja si accompagna e dialoga con i versi di alcuni tra   i   più   grandi   poeti   del   Novecento;   insieme   ne   fanno   un’opera   originale   e compiuta, da leggere ed ammirare insieme, come se le immagini, i colori e i versi avessero avuto da sempre il destino, la necessità  di incontrarsi e dialogare.

Suggerita dall’affetto natale ai pennelli già tanto carichi di simpatie romane (sua madre era  nipote del poeta romanesco Giggi Zanazzo, amico carissimo di Eduardo Scarpetta), la predilezione si è venuta via via maturando, stimolata da precisi raccordi culturali, e sempre con l’ausilio di una raffinata esperienza tecnica. Fino a trovare un’armoniosa intesa tra la tavolozza e i tanti  e “diversi” colori del mondo.

Per cui resta maggiormente esaltata la felice lealtà dell’opera di Arpaja.

Poeti ci vogliono, dunque, per cantare il colore e le emozioni delle genti, e artisti sinceri per trasferirli nei dipinti.

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