L’Altra Pompei – vite comuni all’ombra del Vesuvio, inaugurata la mostra alla Palestra grande

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La vita quotidiana della popolazione comune, composta da schiavi, liberti, artigiani e lavoratori di varia categoria, quella Pompei spesso silenziosa nelle fonti antiche, è in primo piano nella mostra “L’altra Pompei. Vite comuni all’ombra del Vesuvio” in programma dal 15 dicembre 2023 al 15 dicembre 2024 alla Palestra grande degli scavi.

Attraverso sette sezioni, circa trecento reperti e tre installazioni multimediali, il percorso espositivo consente di seguire idealmente il corso dell’esistenza di coloro che appartenevano a questa popolazione, dalla nascita fino alla morte indagandone le attività quotidiane, l’alimentazione, i rapporti personali, i costumi e gli svaghi, ma anche il rapporto con il mondo esterno e con la fede religiosa e l’aldilà.

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“L’altra Pompei” rappresenta quell’80% della popolazione meno abbiente che abitava la città. Il racconto delle vite comuni di questa maggioranza vuole restituire loro memoria e dignità storica, contribuendo a completare l’immagine della vita dell’epoca, integrando libri storici e guide della città antica che non sempre vanno oltre le ricche dimore dai raffinati arredi e decorazioni.

La maggior parte di questa popolazione abitava in case formate da pochi ambienti e solo una ristretta fascia sociale viveva nelle case ad atrio. Questa miriade di spazi anonimi e di persone sconosciute costituisce il tessuto urbano e sociale dell’antica Pompei, che la mostra intende esplorare attraverso un itinerario in cui il pubblico potrà ammirare le ricostruzioni quasi complete di alcuni di questi spazi abitativi che sono stati teatro di vita reale.

Alcune delle più recenti scoperte hanno infatti restituito straordinari contesti quotidiani che vengono riproposti come fulcro del percorso espositivo e che arricchiscono ulteriormente questo racconto.

Come la stanza degli schiavi rinvenuta nella villa suburbana di Civita Giuliana, tuttora in corso di scavo, in cui è stato possibile effettuare il calco dell’arredo completo che restituisce l’immagine fedele di quell’ambiente: la riproduzione del calco di uno dei giacigli, una semplice brandina con rete di cordini, esposta in anteprima in una bottega del sito come esempio di letto di uno schiavo, è ora esposta in mostra all’interno della stanza completamente ricostruita.

“La mostra racconta una bellezza diversa da quella abituale, classica e marmorea, e propone invece l’estetica della vita quotidiana, degli oggetti e delle immagini che circondavano la gente comune e che abbiamo cercato di valorizzare con un allestimento molto originale, a cura dell’architetto Vincenzo De Luce. sottolinea il Direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel – Ma racconta anche l’umiltà, la povertà e la schiavitù, aspetti che ci aiutano a capire perché a quell’epoca molte persone cercavano nuove risposte e prospettive, una situazione che in ultima analisi ha portato all’eredità più importante e durativa del mondo classico, il cristianesimo. Comprendiamo la forza di una nuova luce esplorando gli angoli più bui dell’antico, per questo nella mia personale lettura è una mostra che ci sta benissimo nel periodo natalizio.”

La mostra snoda il suo racconto attraverso un allestimento dominato dai colori intensi, influenzato dai temi affrontati, legati agli individui spesse volte destinati all’oblio della storia le cui vite precarie si consumavano in stanze anguste e poco illuminate.

Attraverso sette sezioni, circa trecento reperti e tre installazioni multimediali, il percorso espositivo consente di seguire idealmente il corso dell’esistenza di coloro che appartenevano a questa popolazione, dalla nascita fino alla morte indagandone le attività quotidiane, l’alimentazione, i rapporti personali, i costumi e gli svaghi, ma anche il rapporto con il mondo esterno e con la fede religiosa e l’aldilà. Inoltre, attraverso una sezione dell’app My Pompeii sarà possibile tirare a sorte l’identità di un antico abitante pompeiano, con il quale identificarsi e seguire il percorso di vita nelle varie case del sito archeologico. Una specie di ruota della fortuna che ben fa intendere come fosse molto più probabile essere un povero, un umile servo o un lavoratore, piuttosto che il ricco abitante di una prestigiosa dimora ad atrio.

La mostra è sponsorizzata da American Express Italia, che per il terzo anno sostiene progetti di valorizzazione del Parco.

“Confermare il sostegno di American Express nei confronti del Parco Archeologico di Pompei è per noi motivo di grande orgoglio e soddisfazione. Lo è ancora di più sostenendo la mostra “L’altra Pompei. Vite comuni all’ombra del Vesuvio”, che riesce a porre magnificamente l’attenzione su storie spesso silenziose e fuori dai riflettori, dimostrando ulteriormente l’inesauribile richezza del patrimonio simbolico del Parco Archeologico di Pompei – afferma Piotr Pogorzelski, Vice President & General Manager, Global Merchant Services, American Express.

Le sezioni della mostra

— INFANZIA

La vita dei bambini nell’antichità è quanto di più fragile ed impalpabile si possa immaginare. Pericoli legati alla gestazione e al parto, malattie e mancanza di medicinali efficaci, infanticidio ed abbandono legalizzato da una società che considerava l’infanzia una semplice tappa della vita, determinavano un tasso di mortalità, entro il primo anno di vita, del 30-40%. La morte colpiva prevalentemente i bambini delle famiglie di livello sociale basso, come poveri e schiavi. Il sorriso pieno di vita del piccolo Adone, sull’affresco della Casa di Successus (I 9, 3), contrasta tristemente con i nomi dei bambini e i numeri dei loro pochi anni di vita vissuti incisi sulle columelle, le pietre sepolcrali di forma antropomorfa stilizzata, con lo stesso rapporto dicotomico che lega la luce all’ombra.

 

— CIBO E NUTRIZIONE

Il regime alimentare è un importante indicatore di differenziazione sociale. Alla base dell’alimentazione vi era il pane, consumato anche da solo dai più poveri, o associato ad altri cibi che potevano essere via via più elaborati e ricercati salendo la scala economica

  • Il ceto medio-basso mostra differenze tra la dieta dei servi e degli schiavi, caratterizzata da cibo specifico e razionato, e quella dei mercanti, dei bottegai e dei lavoratori, la cui alimentazione prevedeva un maggior numero di ingredienti sebbene combinati in preparazioni abbastanza standardizzate. La tavola imbandita di cibo povero al centro contrasta qui con alcuni affreschi di nature morte dove compaiono pesci e carni, cibi più ricercati e costosi, rispetto a quelli di origine vegetale più frequenti nell’alimentazione povera.

— FAMILIA SERVILE

Familia (da famulus, schiavo) indica la famiglia romana, cioè l’insieme dei membri sottoposti all’autorità del capo famiglia: liberi (la moglie e i figli legittimi) e schiavi. Gli schiavi, privi di ogni diritto, erano strumenti di produzione al pari di un utensile, ma con il possesso della parola. I servi, che ricevevano cure in relazione al loro valore, erano numerosi nelle famiglie più agiate, con tante competenze legate alla casa e ai padroni. Nelle ville di campagna la familia rustica era composta dagli schiavi utilizzati per lavori agricoli. La ribellione e l’evasione, in caso di lavori più pesanti, potevano essere sedate anche con l’uso di ceppi. L’utilizzo sessuale delle schiave per il piacere del padrone era una pratica diffusa, ma non era considerata prostituzione, esercitata invece a pagamento, spesso da schiave, in luoghi pubblici e per strada.

— ABBIGLIAMENTO E CURA DI SÈ

Tunicatus populus era il modo per indicare il ceto più basso della popolazione, che possedeva come unico vestito solo la tunica e non aveva diritto ad indossare, al di sopra di essa, la toga, come invece l’élite. La tunica più frequente tra i lavoratori e gli schiavi è esomide, lunga fino a metà coscia, fissata sulla spalla da una fibula e fermata in vita da una cintura. I pesanti lavori esigevano abiti idonei alla libertà nei movimenti. Un altro tipo di tunica era lunga al ginocchio, trattenuta da fibule su entrambe le spalle, con maniche che lasciavano scoperte le braccia. I mantelli in materiali grezzi venivano utilizzati sopra alle tuniche per trovare riparo dal freddo e dalle intemperie. I confronti tra i frammenti tessili carbonizzati e le tracce di stoffa impresse sui calchi delle vittime provano la diffusione di indumenti realizzati con standard qualitativi diversi a seconda dello status sociale ed economico.

— DIVERTIMENTO E TEMPO LIBERO Anche gli schiavi, i liberti o i liberi lavoratori trascorrevano momenti di divertimento. Potevano essere brevi soste dal lavoro o momenti rubati alla sorveglianza del padrone, in cui scambiare chiacchiere con gli amici, fare due tiri a dadi per strada o nei locali, intrattenersi agli spettacoli di farsa popolare come l’atellana, ai giochi nell’anfiteatro, fino all’occasionedi festa principale dell’anno: i Saturnalia. Celebrati dal 17 dicembre in onore di Saturno, erano giornate straordinarie in cui si abolivano le differenze tra liberi e schiavi e tutti avevano diritto alla festa. I nuclei di reperti esposti propongono le principali tipologie di svago: al centro il teatro e la musica e ai lati gli spazi dedicati ai giochi da tavolo, ai divertimenti nelle botteghe, ai combattimenti gladiatori e alle terme.

— MOBILITÀ E CONOSCENZA DEL MONDO La conoscenza e l’idea che i ceti umili, spesso non istruiti, potevano avere del mondo è il tema di questa sezione. La grande nave carica di prodotti rivela il nucleo della riflessione: il viaggio. Spesso effettuato via mare e per motivi commerciali, era un’esperienza di vita piena di rischi, come ricordano gli antichi, ma anche fonte di arricchimento economico e opportunità di conoscenza. Attraverso le rotte marittime giungevano a Pompei prodotti finiti, materie prime e persone; spesso le classi non elitarie, prive di possibilità o motivazioni per viaggiare, avevano con loro il primo e unico contatto con culture straniere. Ma non per tutti era così: servi e uomini liberi potevano far parte dell’equipaggio delle navi, mentre gli schiavi spesso viaggiavano sotto forma di merce.

 

— COMMERCI

Il Mediterraneo era un bacino inesauribile dal quale l’Impero si forniva di beni d’ogni tipo: il vino dall’Asia Minore e dall’Egeo; l’olio dal Nordafrica; i derivati della lavorazione del pesce, come il garum, dall’Italia meridionale, dalla Sicilia e dalla Spagna; la frutta secca dal Medioriente. Attraverso lo scalo portuale di Pozzuoli giungevano a Pompei cibi, materie prime e ogni genere di mercanzia.

 

— SPIRITUALITA’ E MORTE

In cosa credevano gli abitanti dell’altra Pompei? Per rispondere abbiamo scelto di esaminare quei culti che più ci avrebbero potuto avvicinare al sentimento religioso di persone umili e spesso in condizioni di vita difficili: quelli di Dioniso e Iside. Legati ad attività commerciali e agricole, sono però anche culti connessi alla possibilità di cambiamento, di promessa di una vita nuova. Le valenze salvifiche di questi rituali si connettono così al tema finale, della morte, l’ultima fase della vita di un individuo, anch’essa diversa a seconda del livello socio-economico. L’unico contesto esposto è una tomba come tante, di medio livello, dove troviamo l’urna in cui sono stati raccolti i resti combusti dei defunti e delle offerte sparse durante il rituale dell’incinerazione che viene evocato nel video conclusivo.

— L’ALLESTIMENTO

La mostra si sviluppa lungo il braccio Ovest della Palestra Grande del Parco Archeologico di Pompei (Regio II). L’allestimento, dominato dai colori intensi, profondamente influenzato dai temi affrontati dalla mostra, legati agli individui normalmente destinati all’oblio della storia le cui vite precarie, subalterne, si consumavano in stanze anguste e poco illuminate. Le sette sezioni sono ospitate in spazi riorganizzati mediante strutture a pianta triangolare, alte tre metri, che fendono lo spazio e rendono sinuoso e articolato il percorso di visita. Ogni sezione, in tal modo, diventa un ambiente a sé stante fortemente connotato dalle diverse soluzioni espositive adottate per ciascun contesto. Queste strutture metalliche, pensate per ospitare testi, immagini o intonaci dipinti, sono caratterizzate da un doppio rivestimento, il primo in cartongesso verniciato di un rosso vivido, il secondo in lastre di ferro con una patina di calamina (strato di polveri di ossido) che conferisce una colorazione bluastra molto scura, tendente al nero. La doppia “pelle” si pone come metafora del contrasto tra la materia viva, magmatica dello strato sottostante di una terra vulcanica e quella inerte, caliginosa, delle ceneri che ricoprono ogni superficie.

Le teche che accolgono i reperti sono semplici lastre di ferro calamina sorrette da leggere strutture in scatolari verniciati di nero, così da fondersi col nuovo pavimento in linoleum dello stesso colore. In tal modo, i piani espositivi, nella loro essenzialità, enfatizzati dalle luci di sala, sembrano quasi sospesi negli spazi della Palestra. Alcune sezioni sono inondati di luce naturale da cui poter ammirare la veduta del cortile centrale della Palestra, altri invece questa visione è volutamente negata come nello spazio centrale dell’Esedra (sezione “Familia”), dominato dalla presenza di tre recinti che riproducono le dimensioni di stanze reali in cui vengono esposte copie dell’intero arredo restituito sullo scavo dalla tecnica dei calchi.

Introduzione

Gennaro Sangiuliano

Ministro della Cultura

Questa mostra lascia intendere che di Pompei ne esista più d’una, al netto della nuova Pompei. No, la Pompei antico-romana è una sola, luogo di memoria davvero unico al mondo a causa della nota vicenda eruttiva.

Ma il fatto che la città sia stata paralizzata da lapilli e cenere non ha reso Pompei un luogo fermo, tutt’altro. Lo scavo, iniziato secoli fa, continua tuttora, e anche le indagini storico-scientifiche sono incessanti. Un vero e proprio cantiere di memoria, sempre aperto. Ed è proprio l’intensa attività di ricerca a condurci “nell’altra Pompei”, la Pompei dei ceti meno abbienti, dei reperti meno spettacolari, una Pompei più “sommersa” di quella celebre che conosciamo.

E d’altro canto è la Pompei maggioritaria, perché non solo la sociologia e la storia, ma anche il buon senso e l’esperienza comune, ci insegnano che gli strati sociali più opulenti, gli avvenimenti documentati perché extra-ordinari, i monumenti più appariscenti, costituiscono una esigua minoranza rispetto all’intero corpusdei fenomeni. La Storia maiuscola si tramanda più agevolmente, certo, rispetto a quella “minore” e tuttavia dobbiamo soprattutto alla storiografia francese dello scorso secolo, con Bloch e Febvre, Braudel e Ariès, l’apertura di nuovi, fecondi canali di indagine sul nostro passato.

Le usanze, i costumi, le mentalità dei ceti medio-bassi di una società sono sempre e ovunque quelli più diffusi. Ecco perciò l’ubicazione de “l’altra Pompei”! Non nelle sontuose domus affrescate e dotate di spaziosi atrii, bensì negli spazi più ristretti, talora angusti, dove abitava e si muoveva il popolo; non suppellettili di lusso bensì oggetti d’uso ordinari, modesti. Non la ricca Pompei che emerge agli occhi dei visitatori bensì la Pompei meno visibile – e in parte mai vista – quella che giace nei depositi.

Questa attenzione non è frutto solo dei nuovi approcci storiografici su accennati, ma anche della odierna sensibilità che dirige la sua attenzione altrove.

E d’altronde questa lettura non è necessariamente condotta per suffragare interpretazioni conflittuali “di classe”, bensì per allargare l’orizzonte conoscitivo. “L’altra Pompei” non si oppone alla Pompei celebre, bensì la affianca, non esisteva un “muro di Pompei” che separava le due entità! “L’altra Pompei” è semplicemente un pezzo, il più cospicuo, di quella istantanea antica, di quel plurisecolare “come eravamo”, che la storia ci ha consegnato e che noi abbiamo il compito di custodire, tramandare e valorizzare.