IL FONDO LEOPARDIANO
Conservati a Napoli alla Biblioteca Nazionale, gli autografi dei Canti di Giacomo Leopardi, costituiscono il corpus principale delle poesie del recanatese, base dell’edizione dello Starita (Napoli 1835), rivista dallo stesso autore. Nei Canti, titolo scelto proprio da Leopardi, si può seguire l’evoluzione del suo sentire e del suo pensiero, a partire dalle canzoni (All’Italia, Sopra il monumento di Dante) che stimolarono i patrioti risorgimentali, fino all’ultima produzione, intensa e polemica, del periodo napoletano.
Un posto a sé meritano gli Idilli, al cui manoscritto, costituito da un fascicoletto di fogli rigati, su cui netta e chiara si staglia la scrittura del poeta, quest’ultimo affida le composizioni da lui stesso definite “idilli”, intendendo con tale termine delle “situazioni, affezioni, avventure storiche” del suo animo.
Il fascicolo costituisce la redazione base per l’edizione definitiva degli Idilli leopardiani, composti tra il 1819 ed il 1821: La Ricordanza, poi edita col titolo Alla luna, L’infinito, Lo spavento notturno, la Sera del giorno festivo, Il sogno, La vita solitaria, corrispondono così ad altrettanti momenti della storia dell’anima leopardiana, costituendo un nucleo rilevante e unico, rispetto alle successive scelte poetiche di Leopardi.
Conosceremo allora la solitudine, intesa come necessità per rigenerarsi e rifugio dalle delusioni cui l’uomo è sottoposto (La vita solitaria), o il dialogo con la luna, silenziosa e continua presenza nel canto del poeta che con lei interagisce individuando il simbolo femminile insieme allo sguardo di un’alterità lontana (Alla luna); oppure il dolore espresso nella contrapposizione ad una donna che non sa di aver destato amore, divenendo causa di una meditazione sul tempo e sulla storia che conduce il poeta sofferente per il suo isolamento e per la mancanza di affetti alle soglie del limite tra vita e morte, reale e nulla, nella contemplazione delle età antiche scomparse e nella nostalgia della propria e dell’altrui fanciullezza (Sera del giorno festivo).
Tuttavia, simbolo assoluto degli Idilli è L’Infinito, scritto nel 1819, anno di una profonda crisi di malinconia che portò il poeta alle soglie del suicidio, ma nello stesso tempo alla ricerca di una scrittura salvifica. In questo idillio vita e nulla, suono e silenzio, passato e presente si fronteggiano attraverso il sentire del poeta, che riesce ad avere la visone dell’infinito, in una sensazione al limite tra paura e piacere, quasi un naufragio dell’essere: un naufragio dolce, perché corrisponde ad un momento di estasi, in cui il soggetto si perde in un altrove in cui tempo e spazio si annullano.
Ma insieme all’Infinito giova ricordare A Silvia, canzone libera che insieme al Risorgimento testimonia del ritorno di Leopardi alla poesia, dopo un periodo di disincanto. Siamo a Pisa, nel 1828. In A Silvia si realizza un modo proprio di Leopardi, che lontano dal paese natale, riesce a tradurre in poesia attraverso il ricordo sentimenti un tempo provati. Silvia impersonerà per sempre il simbolo della giovinezza perduta e stroncata da un fato inesorabile, così come la Nerina delle Ricordanze, altra figura dell’immaginario femminile di quel periodo che riconduce Leopardi agli anni recanatesi della giovinezza.
Rispetto a Silvia e Nerina, diversa è la figura di Fanny Targioni Tozzetti, conosciuta a Firenze e immortalata nell’identificazione con Aspasia, nome dell’etera amata da Pericle: nei versi del Pensiero dominante, di Amore e morte, di Aspasia o di A se stesso, si consuma una passione forte e impossibile da realizzare, sostenuta da un serrato scandaglio della propria interiorità.
Al contrario, i versi del Canto notturno di un pastore errante per l’Asia (1829-1830), segnano il cammino verso una poesia sostanziata dal pensiero sui grandi temi che pongono domande esistenziali all’uomo: la domanda sull’origine e sui destini, sul dolore e l’indifferenza, sulla fragilità e l’immenso dell’universo. Temi che ritroveremo nell’ultima poesia leopardiana, composta a Napoli tra il 1833 e il 1837, soprattutto nella Ginestra (1836) e nel Tramonto della luna (1836), componimenti cui viene affidato l’ultimo messaggio leopardiano e che si accompagnano a quelli in cui prevale una vena sarcastica e di critica politica e sociale, come nella Palinodia al marchese Gino Capponi (1835). Alla Ginestra, il fiore che pur nasce dal deserto della lava, elemento del paesaggio del Vesuvio, Leopardi dedica una delle sue poesie più difficili il cui ultimo senso si ritrova nella solidarietà necessaria all’uomo per vivere, nonostante l’opposizione e l’indifferenza della natura-fato. Al Tramonto della luna lascia invece il suo congedo definitivo, ancora una volta usando la metafora della luna, sua compagna dialogante anche se silenziosa e muta, che, tramontando, lascia il mondo privo di colore.
BIBLIOTECA NAZIONALE DI NAPOLI
Il corpo dell’idea. Immaginazione e linguaggio in Vico e Leopardi
mostra bibliografica, documentaria,iconografica, multimediale
SALA DORICA in Palazzo Reale di Napoli
Lunedì – venerdì ore 10 – 17; sabato, domenica e festivi 10-19; mercoledì chiuso.
ingresso libero
Martedì 2 luglio 2019 ore 12.30
Foyer del Teatro di San Carlo
Intervengono
Giuseppe Balboni Acqua, Presidente del Comitato Nazionale per il Bicentenario dell’Infinito
Fabio Corvatta, Presidente del Centro Nazionale di Studi leopardiani
Francesco Mercurio, Direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli
Rosanna Purchia, Sovrintendente della Fondazione Teatro di San Carlo
Anna Imponente, Direttore del Polo museale della Campania
e presentazione del catalogo della mostra
Il Corpo dell’idea
Donzelli editore