Commissione antimafia: fare luce su delitto di Ponticelli del 1983.

Napoli 14/07/2005 Aule deserte al tribunale di napoli per lo sciopero dei magistrati.ò

Le carenze investigative, il sospetto di depistaggi della camorra e l’ombra dell’errore giudiziario: la Commissione Antimafia chiede di fare luce sul massacro di Ponticelli, un efferato fatto di cronaca, avvenuto la notte tra il 2 e il 3 luglio del 1983 in un rione della prima periferia di Napoli.

Due bambine, Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, di 7 e 10 anni, furono seviziate e uccise.

Per quelle morti sono stati condannati tre operai, all’epoca ventenni, incensurati: Giuseppe La Rocca, Luigi Schiavo e Ciro Imperante. I tre, oggi sessantenni, sono uomini liberi dopo 27 anni di carcere, e continuano a dirsi innocenti.

“Il massacro rischia di essere una storia di sole vittime, le due bambine e i tre ragazzi”, ha detto la deputata M5s Stefania Ascari. A suo avviso ci sono gli elementi per chiedere la revisione: “Ritengo che si tratti di un grave errore giudiziario”.

Nella relazione, la Commissione solleva molti dubbi sulle indagini. Si legge che “i tre condannati hanno dichiarato di aver subito percosse da soggetti in borghese”. Un fatto ribadito in una conferenza stampa alla Camera da Luigi Schiavo: “Mi hanno torturato, fatto girare sulla sedia per disorientarmi, dato da bere acqua e sale, colpito con un frustino per cavalli”.

Inoltre, scrive ancora la Commissione Antimafia, all’epoca “i pentiti erano soliti vendersi al miglior offerente”.

Quindi, “quel che emerge è che soggetti fortemente indiziati di questo delitto siano stati completamente ignorati ovvero arrestati e poi rilasciati senza che la loro posizione si stata realmente vagliata; mentre per i tre condannati sembra essere stato creato un sistema di forze interagenti, finalizzato a forzare le prove per farle convergere a loro carico”. “Si doveva accontentare l’opinione pubblica. Ma non avete fatto giustizia per le bambine”, ha aggiunto un altro dei tre uomini condannati, Giuseppe La Rocca: “voglio la verità, per le nostre famiglie e per i genitori delle bambine morte”. La fine anticipata della legislatura ha interrotto l’indagine parlamentare, quindi non ha consentito di accertare quale sia stato il ruolo della camorra e dei pentiti. La relazione si propone come un “lascito” per la prossima Commissione.

Intanto, però, a sollevare forti perplessità su un possibile coinvolgimento nel delitto della criminalià organzzata è il professor Alfonso Furgiuele, noto avvocato napoletano che rappresentò le parti civili (le famiglie delle vittime) al processo sulla strage.

“La cultura camorrista, soprattutto quella degli anni ’80 – spiega all’ANSA – stigmatizzava fortemente le violenze sui minori. Non solo. Le puniva. Chi si era reso protagonista di quella tipologia di crimine, anche in carcere doveva essere protetto dalla punizione dei camorristi”.

“Trovo possibile, ma altamente improbabile – continua il penalista- che la Giustizia si sia sbagliata per ben sei volte. Ricordo, a tutti, che ci sono stati tre gradi di giudizio e tre revisioni che sono giunti tutti alla stessa conclusione”.

“Ovviamente se ci fossero prove vere circa un coinvolgimento della camorra in questa triste vicenda – continua Furgiuele – sarei il primo ad attivarsi anche per la quarta revisione. Ma ritengo altamente inverosimile che ci possa essere la mano della criminalità organizzata, tenendo conto soprattutto di quanto la camorra di allora stigmatizzasse le violenze sugli indifesi, ancora più se a sfondo sessuale”. (ANSA).

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