Se la pizza costa meno di 15€ è di scarsa qualità. Non è vero, i pizzaioli napoletani contro Briatore.

La risposta di alcuni pizzaioli napoletani a Flavio Briatore, criticato per aver sostenuto che la sua pizza è cara perché di qualità, andrà in scena presso la storica pizzeria Sorbillo ai Tribunali, nel centro storico di Napoli, dove la Margherita verrà venduta a quattro euro, quella “a portafoglio” sarà distribuita gratis ai cittadini e si terrà una lezione per spiegare come nasce questo prodotto “super-economico ma sano e genuino” e a quali costi.

Lo rende noto il consigliere regionale e presidente della commissione Agricoltura della Campania, Francesco Emilio Borrelli, il quale ha anche deciso di convocare “una commissione congiunta con il presidente della commissione attività produttive Giovanni Mensorio per audire i maestri pizzaioli e gli esperti grazie ai quali negli anni – dice – si sono ottenuti importanti riconoscimenti come il marchio Stg (Specialità Tradizionale Garantita) e il riconoscimento Unesco”.

“Sulla pizza napoletana non accettiamo lezioni da chi non ha nessun titolo per farne”, dice Borrelli.

“Probabilmente Briatore ha innestato questa polemica per farsi pubblicità ma con i suoi modi ha offeso chi questo prodotto l’ha reso grande ed esportato in tutto il mondo e i miliardi di utenti che ogni anno si sfamano a prezzi popolari”.

Per l’occasione il maestro pizzaiolo Gino Sorbillo rilancerà la tradizione della pizza a 8 giorni: “Si tratta di un tipico sistema che si utilizzava a Napoli, soprattutto nei bassi, in momenti di profonda crisi. Il cittadino mangiava la pizza, generalmente quella fritta, con la promessa di ritornare a pagarla 8 giorni dopo. Il debito veniva sempre pagato ed il sistema funzionava alla perfezione. Chi immagina di trasformare questo prodotto in un marchio per ricchi sbaglia di grosso: la pizza deve restare un prodotto ‘povero’ alla portata di tutti”, conclude Borrelli.

“Le mode passano, la tradizione resta”. Il presidente dell’Unione delle pizzerie storiche napoletane “Le Centenarie”, Salvatore Grasso, risponde alle ‘provocazioni’ di Flavio Briatore che, in un messaggio via social ai titolari delle pizzerie napoletane, aveva giustificato l’alto prezzo della pizza servita nel suo locale con l’utilizzo di materie prime di alta qualità, la giusta paga ai dipendenti e il peso delle tasse. “Le nostre attività sono sul mercato da oltre un secolo – precisa Grasso – ma, per favore, non chiamiamo il locale di Briatore pizzeria. Il suo scontrino medio non è determinato dal prezzo della pizza. Il suo è un format, vincente. E ne siamo contenti. Ma un locale storico che vive da oltre un secolo non è certo da meno”.
Un affondo, quello di Briatore, che i più hanno relegato a trovata di marketing, ma che ha scatenato più di una risposta.

A fare chiarezza, il presidente dell’Associazione Pizzaiuoli Napoletani, Sergio Miccù, che spiega: “La pizza napoletana è un piatto pop, ossia popolare. Ha contribuito a sfamare intere generazioni, superando le crisi più dure che la città ha attraversato. Dalla guerra al colera. Il problema non è a quanto si venda la pizza con l’astice blu come condimento, ma a quanto sia giusto vendere una Margherita o una Marinara fatta con ingredienti di qualità. E’ troppo generico parlare di pizza: le classiche conservino il valore della tradizione e di piatto popolare. Quelle cosiddette da chef sono un’altra cosa e possono avere prezzi diversi”.

Alessandro Condurro, Ad dell’Antica Pizzeria Michele in the world, imprenditore che vanta locali in tutto il mondo nati sulla scorta di una tradizione familiare, commenta: “Briatore ha fatto male i conti: è vero che la pizza non può costare più solo 4 euro, perché se si usano ingredienti di qualità, con tutti gli aumenti di oggi, non può essere pagata così poco. Ma può costarne 6, e non 14. A lui dico che io vendo la Marinara o la Margherita a 6 euro e questo non significa che ho i dipendenti in nero. Noi paghiamo tutti i contributi e le tasse”.

Condurro, tuttavia, è d’accordo con Briatore “quando dice che in Italia gli imprenditori sono invidiosi, specialmente i pizzaioli napoletani: il successo altrui purtroppo viene visto male. Una cosa assolutamente sbagliata che anch’io ho sempre condannato.
Faccio i miei migliori auguri a Briatore e ai suoi locali. Se ciò significa creare lavoro, sostenere lo stato ben venga”.

Pino Celio, titolare di una pizzeria moderna in stile newyorkese nella popolare piazza Nazionale è netto: “La pizza di Briatore non è una pizza napoletana, è una pizza che fa status.  E’ la pizza dei ricchi. Il suo è solo marketing, una trovata pubblicitaria. Che poi, nei suoi locali serva una Margherita o una Marinara, non c’entra. Il suo prezzo non è determinato dagli ingredienti o dal piatto che viene servito a tavola, ma dal fatto che si sta cenando in quel contenitore lì”.

“Non si dica – incalza Paolo Surace, titolare della pizzeria storica Mattozzi a piazza Carità – che a Napoli si utilizzano prodotti di scarsa qualità. Perché sulla pizza ormai non ce ne sono più. Da nessuna parte. La questione sul prezzo non è questa. E non ci stiamo. Perché a Napoli si mangia, con meno, una pizza di grande tradizione e altissima qualità. Come per tutte le attività, il prezzo deriva da tanti costi: ubicazione del locale, che determina costi di fitto, ammortamento dei beni, personale”.

Secco, infine, il commento di Antonio Starita, a Materdei, che da più di cento anni è ‘ambasciatore’ della pizza napoletana nel mondo: “Briatore non è un pizzaiolo. Perciò non va considerato come tale: si fa semplicemente pubblicità utilizzando la pizza”.(ANSA)

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