Mafie in Italia, rapporto Dia, domina ‘ndrangheta, camorra in evoluzione

La ‘ndragheta si conferma assoluta dominatrice della scena criminale, mentre i gradi clan della camorra si evolvono in ‘imprese mafiose’ e la mafia in Sicilia mantiene saldo il controllo del territorio, rappresentando una ‘attrattiva’ per i giovani. E in Puglia il ‘trend’ si conferma in crescita. Questi alcuni dei dati emersi dalla Relazione semestrale della Dia sui fenomeni di criminalità organizzata di tipo mafioso del II semestre del 2022. Ecco cosa dice il report.

“In ragione della coesa struttura, delle sue capacità ‘militari’ e del forte radicamento nel territorio, la ‘ndrangheta si conferma oggi l’assoluta dominatrice della scena criminale anche al di fuori dei tradizionali territori d’influenza con mire che interessano quasi tutte le Regioni (Lazio, Piemonte e Valle D’Aosta, Liguria, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo e Sardegna). Proiezioni che si spingono anche oltre confine e che coinvolgono molti Paesi europei (Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Austria, Repubblica Slovacca, Albania e Romania), il continente australiano e quello americano (Canada, USA, Messico, Colombia, Brasile, Perù, Argentina, Australia, Turchia ed Ecuador)”.

“La situazione della criminalità organizzata in Calabria permarrebbe sostanzialmente immutata rispetto al precedente periodo dell’anno. Sul piano strutturale la ‘ndrangheta si conferma un’organizzazione a struttura unitaria, governata da un organismo di vertice, cd. ‘provincia’ o ‘crimine’, sovraordinato a quelli che vengono indicati come ‘mandamenti’ che insistono in 3 macroaree geografiche (il mandamento centro, quello jonico e quello tirrenico) e al cui interno operano le locali e le ‘ndrine, assetto ribadito anche dalle pronunce definitive emesse all’esito del noto processo ‘Crimine’. – continua la relazione – Tuttavia, gli elementi emersi dalle inchieste concluse nel periodo in esame, nel prosieguo, hanno mostrato taluni aspetti d’interesse che, da un’attenta analisi, potrebbero rivelare possibili evoluzioni dei gruppi ‘ndranghetisti avvenute nei vari contesti di riferimento”.

“Fuori dalla regione d’origine, le cosche calabresi, oltre ad infiltrare significativamente i principali settori economici e produttivi, replicano i modelli mafiosi basati sui tradizionali valori identitari, con ‘proiezioni’ che fanno sempre riferimento al Crimine, quale organo unitario di vertice, che adotta ed impone le principali strategie, dirime le controversie e stabilisce la soppressione ovvero la costituzione di nuove locali. – evidenzia la relazione – Le inchieste ad oggi concluse hanno, infatti, permesso di individuare nel Nord Italia 46 locali, di cui 25 in Lombardia, 16 in Piemonte, 3 in Liguria, 1 in Veneto, 1 in Valle d’Aosta ed 1 in Trentino Alto Adige. Più di recente, anche in Emilia Romagna le attività d’indagine hanno gradualmente disvelato una ragguardevole incisività della ‘ndrangheta”.

“Le province di Napoli e Caserta rimangono i territori a più alta e qualificata densità mafiosa. È qui, infatti, che si registra la presenza dei grandi cartelli camorristici e dei sodalizi più strutturati i quali, oltre ad aver assunto la gestione di tutte le attività illecite, si sono gradualmente evoluti nella forma delle così dette ‘imprese mafiose’ divenendo nel tempo competitivi e fortemente attrattivi anche nei diversi settori dell’economia legale. Ne consegue, pertanto, la crescente tendenza dei clan più evoluti a ‘delocalizzare’ le attività economiche anche all’estero per fini di riciclaggio e di reinvestimento con l’obiettivo di trasferire le ricchezze in aree geografiche ritenute più sicure e più remunerative”.

La relazione evidenzia poi “un’ulteriore e insidiosa minaccia è costituita dalle strategie più subdole e raffinate adottate dalle organizzazioni camorristiche più strutturate ed orientate all’infiltrazione dell’economia e della finanza anche tramite pratiche collusive e corruttive. I consistenti capitali illeciti di cui dispongono tali organizzazioni, derivanti soprattutto dal traffico di stupefacenti, non appena reimpiegati nell’economia legale alterano, talvolta irreversibilmente, le normali regole di mercato e della libertà di impresa, consentendo ad esse di acquisire posizioni dominanti, o addirittura monopolistiche, in interi comparti economici”.

“Frequenti risultano i casi di pervasiva ingerenza all’interno della pubblica amministrazione campana volti a condizionarne i regolari processi decisionali per l’affidamento degli appalti pubblici, altro settore di prioritario interesse criminale – sottolinea la relazione – Grazie alla rete di relazioni intessuta tra taluni esponenti delle Amministrazioni locali e delle imprese, i clan riescono ad aggiudicarsi importanti commesse pubbliche sia con affidamenti diretti in favore di aziende ad essi collegate, sia tramite i sub-appalti”.

“L’andamento del fenomeno mafioso nella Regione Siciliana non ha subìto complessivi mutamenti sostanziali rispetto al semestre precedente, in cui cosa nostra manterrebbe ancora il controllo del territorio in un contesto socio-economico tuttora fortemente cedevole alla pressione mafiosa. Nonostante le numerose attività di contrasto eseguite nel tempo cosa nostra continuerebbe a manifestare spiccate capacità di adattamento e di rinnovamento per il raggiungimento dei propri scopi illeciti. Essa, infatti, continua ad evidenziare l’operatività delle sue articolazioni in quasi tutto il territorio dell’Isola con consolidate proiezioni in altre regioni italiane e anche oltreoceano tramite i rapporti intrattenuti con esponenti di famiglie radicate da tempo all’estero”.

“Anche nel secondo semestre 2022 la criminalità organizzata siciliana risulterebbe esercitare una ‘capacità attrattiva’ sulle giovani generazioni, – evidenzia la relazione – coinvolgendo non solo la diretta discendenza delle famiglie mafiose ma, anche e soprattutto, un bacino di utenza più esteso al fine di ampliare la necessaria manovalanza criminale”.

“In cosa nostra palermitana, come nelle consorterie mafiose attive nelle province occidentali e orientali della Sicilia, la prolungata assenza al vertice di una autorevole e riconosciuta leadership starebbe favorendo l’affermazione a capo di mandamenti e famiglie di nuovi esponenti che vantano un’origine familiare mafiosa. – prosegue la relazione – Non mancherebbero, tuttavia, i tentativi da parte di anziani uomini d’onore, recentemente ritornati in libertà, di riaccreditarsi all’interno dei sodalizi di appartenenza”.

“Nel territorio siciliano si registra altresì la presenza di altre organizzazioni mafiose sia autoctone, sia straniere, che riescono a coesistere con cosa nostra in ragione di un’ampia varietà di rapporti e di mutevoli equilibri. Ad Agrigento continua a registrarsi l’operatività anche della stidda e di altri sodalizi para-mafiosi, come paracchi e famigghiedde. In provincia di Catania e, più in generale nella Sicilia Orientale, risultano ancora attive importanti famiglie mafiose riconducibili a cosa nostra che al suo modello fanno riferimento sotto gli aspetti organizzativo, funzionale e criminale. – si legge nella relazione – In tale contesto territoriale operano, inoltre, altri sodalizi di tipo mafioso non ricompresi in cosa nostra che possiedono la medesima articolazione delle famiglie di Catania e, in altri casi, alternano ad una matrice banditesca schemi organizzativi adattivi e fluidi tipici dei quartieri in cui i tali gruppi insistono. Evidente, inoltre, è la propensione dei sodalizi catanesi ad espandere la loro zona di influenza nei contesti circostanti. Difatti, nelle province di Siracusa e Ragusa risultano tangibili le influenze di cosa nostra catanese e, in misura più ridotta, anche della stidda gelese”.

“L’ormai consolidata strategia di ‘sommersione’ dettata dalle organizzazioni siciliane prevede il minimale ricorso alla violenza al fine di evitare allarme sociale e garantire, nel contempo, un “sereno” arricchimento economico tramite l’acquisizione di maggiori e nuove posizioni di potere. – continua la relazione – Nel periodo di riferimento vengono confermati quali principali interessi criminali delle mafie siciliane, il traffico di stupefacenti, le estorsioni, l’infiltrazione nei comparti della pubblica amministrazione, nell’economia legale, nel gioco e nelle scommesse online, settore quest’ultimo che garantisce una singolare modalità di controllo del territorio, strumentale anche per il riciclaggio dei capitali illecitamente accumulati.

“Nel traffico degli stupefacenti si conferma la capacità di cosa nostra di instaurare relazioni commerciali e di stringere alleanze o forme di cooperazione con altre matrici mafiose, quali ‘ndrangheta e camorra, per l’acquisto di ingenti quantitativi su larga scala. Dalle attività investigative concluse nel periodo di riferimento è emerso come cosa nostra, per l’approvvigionamento di cocaina, abbia mantenuto un privilegiato canale di negoziazione soprattutto con le cosche calabresi. Tuttavia non può escludersi che cosa nostra riesca, nel tempo, a riattivare i vecchi flussi con i fornitori del continente americano e riacquisire lo storico ruolo di player internazionale nell’ambito del narcotraffico. Con riferimento allo spaccio al minuto, le organizzazioni criminali ricercherebbero manovalanza anche tra i più giovani nelle periferiche e più degradate aree urbane. – prosegue la relazione – L’interesse delle consorterie mafiose siciliane fuori regione si rivolge prevalentemente (con riferimento alle presenze in Lazio, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Marche e Toscana) all’infiltrazione nell’economia con la commissione di frodi fiscali e riciclaggio di capitali. All’estero, tra i Paesi più interessati al fenomeno si segnalano Spagna, Belgio, Germania, Austria, Romania, Malta, Canada, USA”.

“La parcellizzazione e il dinamismo dei fenomeni associativi continuano a caratterizzare l’intero scenario mafioso pugliese in cui le diverse costellazioni di clan e di sodalizi, tra loro in altalenanti rapporti di conflittualità ed alleanze, proseguono il loro percorso in ascesa verso l’acquisizione di forme imprenditoriali sempre più complesse e strutturate. Le organizzazioni criminali della Regione, infatti, benché continuino ad esercitare variegate modalità di controllo militare del territorio, sembrerebbero orientarsi verso l’attuazione di un mirato ed evoluto modello di mafia degli affari”.

“I dati contenuti nelle Relazioni sull’Amministrazione della Giustizia, presentate in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2023 presso le Corti di Appello di Bari e Lecce, confermano il trend in crescita delle mafie pugliesi nella tradizionale distinzione tra mafie foggiane, camorra barese e sacra corona unita. – continua la relazione – Le attività di analisi e di indagine del semestre documentano anche come il polimorfismo mafioso non pregiudichi forme di simbiosi e sinergiche strategie, funzionali al soddisfacimento di comuni interessi illeciti ed altamente remunerativi”.

“I percorsi di infiltrazione mafiosa nei circuiti economico-imprenditoriali traggono origine dal considerevole afflusso di capitali illeciti derivanti dal traffico, anche internazionale, di stupefacenti e dagli ingenti profitti discendenti dalla recrudescenza del fenomeno estorsivo, attuate con prevaricanti strategie intimidatorie dalle organizzazioni criminali pugliesi ai danni di attività imprenditoriali e commerciali. – prosegue la relazione – Le accennate interazioni con le mafie storiche interessano, ad esempio, i clan della provincia di Barletta Andria Trani (BAT) che sembrerebbero interloquire non solo con le realtà criminali del territorio dauno e barese, ma anche con quelle di origine calabrese e campana”. (AdnKronos)